Le formazioni iscritte all’Eurolega di quest’anno annoverano nei loro rosters 29 giocatori che hanno giocato in Italia come “stranieri”, al netto delle distinzioni comunitarie o meno. Ve li presentiamo.

GUARDIE. KC Rivers e James Feldeine (Pana), Josh Akognon (Baskonia), Nikos Zisis (Bamberg), Charles Jenkins (Cedevita), Aaron Jackson (CSKA), Brad Wanamaker (Daroussafaka), Petteri Koponen (Barcellona), James Nunnaly (Fenehr), Vlado Micov (Galatasaray), Eric Green (Olympiakos), Jaycee Carroll e Dontae Draper (Real), Keith Langford (Kazan).

ALI. Jonas Maciulis (Real), Devin Smith e Joe Alexander (Maccabi), Austin Daye (Galatasaray), Antonis Fotsis e James Singleton (Pana), Adam Hanga (Baskonia).

LUNGHI. Bryant Dunston (Efes), Ioanis Bourousis (Pana), Vladimir Vereemenko e Leo Radosevic (Bamberg), Alex Tyus (Galatasaray), Othello Hunter (Real), Brock Motum (Zalgiris), Kyle Hines (CSKA).

Aggiungendo ad essi i 6 Italiani (Datome, Melli, Hackett, Cinciarini, Abass, Gentile… Fontecchio non vede quasi campo e lo teniamo fuori dal computo) che giocano in Eurolega, arriviamo a completare quasi 3 rosters con questa sorta di eredità che il nostro campionato ha fornito alla massima espressione del basket europeo. In alcuni casi, pensiamo a Tyus, Dunston, Rivers, Jackson, Nunnaly, si tratta di giocatori che si sono formati in Italia, chiamati da dirigenze lungimiranti e sviluppati da allenatori capaci. Altri erano, pur acerbi, campioni annunciati, come Langford e Koponen, altri ancora sono giunti in Penisola già affermati: Bourousis, Fotsis, Daye. Ognuno di quei nomi, e ovviamente anche gli italiani, dice che da noi ci sono competenze tecniche e anche capacità di scouting non indifferenti; il lato negativo della questione è rappresentato dalla mancanza di denaro, ma anche idee, credibilità e dirigenti capaci di sviluppare il nostro campionato e di fare sì che, una volta individuati e coltivati, i talenti non lo abbandonino. Il capitolo in cui registriamo il maggior deficit, tra quelli elencati, coinvolge dirigenti e credibilità. E’ credibile un campionato in cui la Federazione ammette che i propri arbitri conducano regole che, giuste o sbagliate che siano, solo in Italia applichiamo nel modo in cui le applichiamo? O non si fa, piuttosto e purtroppo, la figura del soldato giapponese, a guardia del più inutile degli atolli, che nel 1956 ancora non aveva saputo della fine della guerra? E’ credibile un campionato espressione di una Federazione il cui Presidente per 18 mesi annuncia di puntare tutto il futuro della ricostruzione del basket italiano sulla qualificazione olimpica e, una volta sfumata questa, non si dimette? Le migliori 4 squadre italiane, e non da quest’anno, sono Milano, Reggio Emilia, Avellino e Sassari (pure un po’ in ombra e in pieno rebuilding): è credibile una Federazione (e un Presidente) che esprime un campionato dove Reggio viene esclusa dalle coppe, Sassari e Avellino condannate all’inguardabile Champions League e Milano salvata dagli strali federali solo in grazia di troppo espliciti e forti privilegi pregressi acquisiti nei confronti della partecipazione all’Eurolega? Il roster più italiano degli ultimi 20 anni, quello di Reggio, è di fatto impossibilitato dalle decisioni petruccesche a partecipare del basket europeo: quale vantaggio ne trae lo sviluppo di Della Valle o Polonara? Che stimolo arriva alla carriera di Aradori o Gentile? E meno male che Mussini ha scelto di fare il cervello in fuga a St. John’s U. sotto coach Chris Mullin.

Ettore Messina di certo vince meno di quel che il suo blasone farebbe a prima vista intendere, ma è un signor allenatore, come lo è Trinchieri e lo sono Menetti e Sacripanti, per tacere di tanti altri che sanno vincere ogni anno, parametrato alle risorse a disposizione, il loro Campionato. Si va da Boniciolli in LNP a Scariolo coach della immensa Nazionale Spagnola. Il vero patrimonio del basket italiano è tecnico, oggi. Allenatori di ogni livello, dalla serie A agli Under. Scouting. Un campionato, quello di LNP, che ha il suo vero diamante nella cosa più odiata: lo strettissimo imbuto per la promozione in SerieA, che genera la possibilità di sviluppare progetti tecnici in relativa tranquillità. Il patrimonio tecnico, per fortuna, dipende non dagli arbitri o dalle direttive Federali, ma dalla capacità di studio, invenzione, aggiornamento dei soggetti. Ma la cornice è scarsa e l’invasività federale (FIBA e FIP) porta molti più problemi e ostacoli che aiuti alle società. E quando un Presidente viene fischiatissimo ovunque vada dovrebbe porsi delle domande. Faccia finta, ogni volta, che sia un referendum perso, e rifletta, e tragga, chissà, le conseguenze. Nel frattempo, se prendessi 12 dei 35 nomi, tra italiani e stranieri, che vi abbiamo presentato all’inizio, e mettessi Sacripanti o Menetti alla guida, penso che una Final4 di Eurolega arriverei a giocarla. Sempre che la FIP mi ci lasci giocare…