Seconda puntata dell’unica rubrica NBA italiana che non vi racconta solo di Steph e LeBron e che non fa le solite classifiche sul tiratore più fico.

 

Oggi in scena i Detroit Pistons, ovvero la sorpresa lieta più inaspettata e meno rumoreggiata della stagione finora.

Negli anni chi ci segue ha preso familiarità con l’appellativo di Mirtilli. Sono quei giocatori che scoviamo nel sottobosco e nei dintorni della NBA, e che, con largo anticipo sulla loro effettiva epifanìa, vi annunciamo presto protagonisti sulle tavole della Associazione. Non è per noi un dispiacere che, casualmente ma forse no, un discreto numero di Mirtilli sia finito a giocare per Stan VanGundy (uno dei nostri allenatori preferiti) a Detroit. Sono per l’esattezza quattro: Ish Smith, pg (in assoluto quello cui siamo più affezionati insieme ad Hassan Whiteside); Jon Leuer, pf/c; Eric Moreland, pf/c; Langston Galloway, sg (ma lui pensa di essere un centro). Insieme all’esperto tiratore Tolliver e al rookie da Duke Luke Kennard sono il nerbo della panchina dei Pistons, cui tanto spetta del merito delle fortune attuali della squadra.

I Pistons non hanno numeri stratosferici: quello migliore di tutti è la loro posizione in classifica, secondi nella Eastern Conference con 12-6, per il 67% di record. Per il resto, nei rankings all-NBA, non hanno nessun posizionamento migliore del settimo come difesa per punti concessi e del decimo per differenziale positivo punti segnati/subìti e per offensive rating, ovvero punti segnati su 100 possessi. Sono però ottavi (e migliorano le proprie stats offensive e difensive) per comportamento nel clutch time (ricordiamo: ultimi 5 mins o supplementari di partite con scarto pari o inferiore a 5 pti): il loro Off-Rating sale da 108 a 111. In una squadra con record vincente questa stat è particolarmente significativa, perché rende giustizia alla bontà delle scelte del coach, alla buona esecuzione dei giocatori, al loro QI. Per una squadra-sorpresa come i Pistons significa, inoltre, aver la capacità di restare incollati alle partite molto più del previsto, e in questo entra in gioco il lavoro della panchina.

I sei uomini elencati producono 35,5 pti + 15,5 rebs + 8,5 ass + 1,8 stoppate e 3,2 recuperi a gara. Trasformati in percentuale sul fatturato della squadra diventano: 34% dei pti, il 36% dei rimbalzi, 38% degli assists, 40,5% dei recuperi, ben il 53% delle stoppate, e la loro incidenza minore è sulle palle perse, alle quali contribuiscono per il 30% del totale. Esistono anche picchi particolari: Ish gioca 20 mins a gara, e il titolare Reggie Jackson 28, ma parametrati sui 100 possessi il loro rendimento diventa quasi identico; la differenza nello scoring si riduce a 2 soli pti (19 vs 17) e negli assists Smith sorpassa Jackson; inoltre Ish sta tirando pochi decimali sotto al 55% da 2. Altro picco la capacità rimbalzi/stoppate di Moreland, un elicotterone che abbiamo notato fin dalla SL 2015. Ha faticato a trovare spazio nella NBA, perché è effettivamente limitato a mezzi atletici spaventosi-rimbalzi-stoppate (no tiro se non a mezzo cm dal ferro), ma che nel sistema dei Pistons (Bimbone Drummond centro titolare indiscusso, Jon Leuer back-up “raffinato” e Moreland back-up “bestiale”) fa valere quel che su 36 mins (viene impiegato 10 a gara) diventerebbe 10.3 rebs e 2.5 stoppate (il leader NBA di categoria è Porzingis con 2,3; dalle classifiche manca, perché non ha giocato ancora abbastanza gare, Myles Turner dei Pacers che ne ha 2,5 a partita, appunto). Langston Galloway sta tirando col 50% da 2 e il 43% da 3, e su 100 possessi sarebbe una guardia di 1,90 scarsi da 22+6 (vi avevamo anticipato che lui si crede un centro..). Vale anche la compattezza, per una second unit: nessuno di questi giocatori segna più di 9,6 pti, ma nessuno meno di 5,5.

Se vi chiedete “come mai i Pistons”, qui avrete trovato alcune delle risposte. Lasciate stare ogni tanto Steph e Westbrook o LeBron: la NBA è splendida nei meandri più segreti.