Nove gare nella notte NBA, e una crociata che non s’ha da fare.

La prima partita di cui parlare è quella di Washington. Primo motivo di interesse: conferma della coincidenza tra assenze di Wall e W degli Wizards (3 W su 5). Secondo motivo: Wall potrebbe aver finito qui la stagione e forse la sua esperienza capitolina. Il giocatore è in bilico tra il decidere di operarsi per sistemare gli speroni e frammenti ossei presenti nel suo tallone, l’operazione richiederebbe fino a 8 mesi per il totale recupero agonistico, e le parole usate negli USA per determinare la volontà di JW oscillano tra “planning” e “considering”: progettare e meditare son cose ben differenti, ma entrambe proiettano il pensiero nella sfera del “si farà” più che in quella “andrà avanti con le terapie conservative”. Wall out rinvierebbe le altre questioni sulla permanenza del giocatore a Washington, ma non le annullerebbe. Infine, mirando a quanto accaduto in campo, altre conferme: Kemba Walker merita più degli Hornets, cui anche stanotte ha dedicato impegno assoluto e 47 pti con 29 tiri; insufficienti a raddrizzare una gara in cui WAS ha avuto quasi istantanei vantaggi in doppia cifra profonda, trovando alla fine 7 in doppia cifra e 3 oltre i venti, tra cui la bella notizia europa Satoransky (20-4-6) e il rinnovato punto interrogativo su che diavolo avessero nel cervello i Rockets quando hanno dato 40 milioni/anno a CP3 e 0 ad Ariza (24-7-9) costringendolo a partire. La domanda “ma che diavolo..?” viene spontanea a proposito dell’enigma meno penetrato della NBA quest’anno, ovvero che diavolo abbiano in testa i Celtics quando scendono in campo. Di nuovo un primo tempo pietoso per gli uomini di Brad Stevens, e di nuovo una rincorsa: stavolta riuscita, ma non poche altre occasioni li hanno visti sconfitti. Stanotte la rimonta si è compiuta per 4 motivi: Kyrie, Marcus Morris, la sparizione per Memphis (in particolare in un terzo quarto da 10 perse) della connessione tra cervello e mani, ed infine per il fatto che nel secondo tempo Marc Gasol, che aveva dominato la prima metà in quel modo sempre un po’ annoiato ma a volte tremendamente efficace che ha di giocare a basket, non ha mai messo un alluce non solo nel pitturato o in post basso, ma quasi nemmeno all’interno della riga delle triple. In attacco. In difesa invece non si schiodava dall’area dei 3 secondi, consentendo ad Al Horford di segnare 5 triple molto importanti. Tutto al contrario, insomma, per lo Spagnolo: chissà se di sua sola volontà o se mal guidato da uno dei coach che meno ci piacciono, Bernie Bickerstaff. Parlando ancora di Eastern Conference: KO Nets a casa Bucks (31-10-10, 2 rec, 3 stoppate dello Pterodattilo); W di Atlanta che trova un 41enne da ventello: ovviamente parlo di Vincredible Carter a 21+4 con 4/7 da 3; i Knicks perdono ancora, stavolta a Salt Lake City con i Jazz che hanno avuto Gobert a 25+16 con 10/12 al tiro. Trasferendoci ad Ovest troviamo prima di tutto fatica e sofferenza fisica: l’assurdo livello di competitività della Western Conference vede 15 squadre su 16 in lotta per un posto nei PO, il che significa che non ti puoi distrarre mai, nemmeno vs i derelitti Suns, perché perdere con loro sarebbe sconfitta doppia, dal momento che ci vincono praticamente tutti. La formazione più in forma della NBA al momento è Houston (9-1 nelle ultime 10, stanotte battuta Nola), al cui proposito vorrei dire due cose: facile essere la più in forma quando sei portato in palmo di mano vellutata da parte dei refs (la quantità e gravità delle concessioni arbitrali ad Harden è diventata davvero insultante), e che le ultime 4 W sono arrivate senza Paul. Denver ha regolato Phoenix scavando subito 20 pti e poi distraendosi fino a rischiare di perderla: Jokic 23-8-9 con 3 rec e 1 stoppata e Jamal Murray 46-6-8 (la cosa più simile a Kyrie Irving nella NBA è lui). Dopo un periodo di appannamento abbastanza lungo i Golden State Warriors hanno ritrovato Klay Thompson in attacco con buone pecentuali (32 con 21 tiri compreso 4/5 da 3) battendo senza storia (dopo qualche tentennamento iniziale) i Blazers a Portland. Infine gli Spurs hanno proposto andando in visita ai Clippers un rebus che Doc e i suoi ragazzi non hanno risolto: LaMarcus Aldridge 38 con 23 tiri e 10/12 dalla lunetta. Doc ha affrontato Pop concedendo solo 11 mins totali ai due centri veri dei Velieri (Gortat 4 e Marijanovic 7) e un minutaggio un po’ inferiore del solito anche ad Harrell (21+5 con 4 rec in 28′). Molto del pitturato e della cura di LMA è finito sulle spalle di Gallinari, la cui difesa non è stata certo all’altezza. Nel secondo tempo gli Spurs hanno dilagato fino a quasi 30 di vantaggio, trovando un discreto Belinelli (11-4-1 con 1 rec) e una partita totale da parte di DeRozan (25-13-6 con 4 rec e 1 stoppata). Chiudo con la crociata da non fare: riguarda la presunta mobilitazione che l’Italia dovrebbe mettere in atto votando Gallinari per l’All Star Game. L’ASG è ormai sempre più denotato come “festa dei fans”, trovando la parte agonistica sempre più minoritaria: è una realtà su cui è impossibile intervenire, ma si può cercare di preservare il più possibile la serietà tecnica dell’evento. Come trovavo ridicoli al limite dell’insulto al Gioco le centinaia di migliaia di voti che uscivano dall’internet georgiano fino a quasi portare per davvero Zaza Pachulia all’ASG, così penso del portarci il Gallo, che sta giocando una buona stagione, ma è lontano anni luce dal livello richiesto dallo ASG.