La presentazione delle squadre NBA e delle loro possibilità continua.

EASTERN CONFERENCE #3: BOSTON CELTICS. Il cicciottello Sullinger è emigrato in Canada, ma è arrivato Al Horford dagli Hawks, e, pur con tutta la stima per un paio delle mani più forti a rimbalzo della NBA, il cambio è decisamente favorevole ai Celtics, il cui quintetto ora conta due AllStar (IT4 e Horford); conta anche uno dei primi 10 difensori tra le guardie NBA (Avery Bradley) e, stats alla mano, un’ala che, contando entrambi i lati del campo, ha davanti solo James, George, Leonard e Millsap: parliamo di Jae Crowder. Boston ha perso di una stretta incollatura la volata per il purosangue Durant, ma anche questa sconfitta è un dato positivo, proprio per lo stretto margine con cui è maturata. Una delle difficoltà storiche per i Celtics dopo l’addio di Larry Bird è proprio la capacità di essere un posto attrattivo per i grandi campioni. Ora sta tornando ad esserlo, per l’esuberanza del principe dei lobbisti Isaiah Thomas, ma soprattutto per quello che Brad Stevens, coach di perlacea intelligenza e nerditudine orgogliosamente ostentata, ha saputo costruire in tre anni. Ha preso una formazione da 25 W che era ostaggio delle lune di Rajon Rondo, ha allontanato RR, e l’ha portata a sfiorare le 50, agguantando i PO con stile, perdendo per differenza scontri diretti il vantaggio del fattore campo e finendo eliminato dagli Hawks anche per colpa di diversi infortuni. Cosa manca ai Celtics? Tiro: IT4 ne deve prendere troppi e Bradley ha ottime percentuali, ma squilibrate tra gare fantastiche e altre da 1/11. Questa lacuna potrebbe venir parzialmente colmata da una definitiva esplosione di Olynyk, centro con adolescenza da pg e tiro mortifero, finora frenato da timidezze personali, piedi non proprio veloci in difesa e diversi infortuni: resta tuttavia un comparto in cui Boston non è al livello di una contender. Protezione del ferro: qui nulla è stato aggiunto, ma vi invitiamo a consultare un nome qualche riga più sotto. Imprevedibilità: hanno perso Evan Turner, il principe del 1 vs 1 old school, e hanno aggiunto la matricola Jaylen Brown (Terza Scelta Assoluta 2016, cui abbiamo dedicato un focus subito dopo il Draft), che ha fatto vedere di essere capace di andare in lunetta con costanza alla SL, e Gerald Green, cavallo di ritorno che alla casella “Qualche tiro non ti piace” non mette mai la crocetta. Anche qui sono migliorati, ma non quanto si poteva aspettare. Giusto, ecco la domanda: ESATTAMENTE, cosa diavolo si aspettavano a Boston? Ricordiamo che ogni giudizio estivo, così come ogni movimento del front office era paragonato o destinato ad esser paragonato all’agognato arrivo di KD: pochi confronti reggono, dunque. In realtà, secondo noi questi Celtics sono migliorati parecchio, perché nei loro comparti deboli hanno fatto piccoli progressi, perché ora IT4 avrà uno “sfogo” non secondario in Horford, perché la difesa è un punto fermo, e infine perchè alcuni giovani come Marcus Smart sono già, per alcuni aspetti del gioco, nella lista dei grandi, e sono attesi ad altri miglioramenti. Cosa potrebbe andare storto? Molto del successo dipenderà dal saper replicare l’atmosfera coesa e il “non mollare mai” dello scorso anno: cose intangibili che potrebbero rovinare un’annata, se non ripetute. Sorprese? Al momento è molto gettonata la pg Terry Rozier, ma noi puntiamo su Jordan Mickey, che vale almeno il doppio del chicagoano Bobby Portis, e, soprattutto, ha braccia infinite e istinti purissimi da stoppatore, avendo viaggiato per mesi, in D-League, a oltre 5 di media. PAYROLL: 23’ della NBA, poco meno di 94 milioni. Per ora Danny Ainge viaggia in carrozza, perché i 94 contano già il megacontratto da 28.5 annui di Horford. Qualche grattacapo, fra due anni, potrebbe generarlo il rinnovo di IT4, che ovviamente non si accontenterà di 6 milioni come adesso.

WESTERN CONFERENCE #3: GOLDEN STATE WARRIORS. Ci concentreremo su quel che non c’è. Diamo per scontato che un equilibrio tra Steph, Klay e Durant verrà trovato, scontato l’apporto di Dray-G e di quel che resta della panchina di GS, ovvero Livingston e Iggy. Tutto il resto è campo per le domande. Chi gioca in mezzo? Bogut è partito, lo ha fatto al momento giusto sia per sé che per la squadra: lo sostituirà Zaza Pachulia. Il suo basket anni ’50 lo fa sembrare molto più vecchio dei suoi 32 anni, così come il trovarsi a proprio agio anche senza la palla può farlo ritenere più scarso di quel che è. In realtà è giocatore di sapienza unica, talmente capace di farsi amare per intelligenza e dedizione alle squadre in cui gioca da sfiorare, grazie all’apporto di tutta la comunità georgiana che votava per lui, l’accesso all’ASG. Continuando a rispondere ai quesiti sul pitturato degli Warriors, nel ruolo di pf non c’è più Speights, ma David West, che prosegue il suo pellegrinaggio in cerca di un titolo: dopo SA, ora GS. E’ partito anche Festus Ezeli, il nigeriano che ha preferito i soldi alle vittorie. La partenza di Bogut+Speights+Ezeli è rimpiazzata bene da Zaza+West+Varejao, ma non completamente: manca del tutto protezione dell’anello. Che non può esser fornita nemmeno da Jason Thompson, di ritorno ad Oakland dopo un giro in Canada. La gravità del problema difesa+stoppate dei big-men di GS si evince da altri due fattori: la scelta al Draft16 di un 2.13 grezzissimo ma di qualche potenziale, Damian Jones, e l’ingaggio di Javalone McGee, sempre in bilico tra essere un giocatore oppure una macchietta da sit-com, il tipo di personaggio che non appena entra in scena fa partire gratis in sottofondo le risatine registrate. Ancora domande. Chi gioca dietro a KD e Klay? Vuoto un po’ più preoccupante si apre nel roster degli Warriors cercando chi possa dar cambio a quei due: Barbosa e Rush sono andati via, il ginocchio di Livingston non gli concede molti minuti oltre i 18 a partita, e anche Iggy inizia ad avere una certa età. Resta McAdoo the Third, e si proverà a dare finalmente un’occhiata a Kevon Looney, la prima scelta dell’anno scorso che non ha mai potuto giocare causa precocissimo infortunio. Molti minuti secondo noi toccheranno a Ian Clark, un ragazzo che segnalammo già ad inizio della scorsa stagione, che ha fatto la high school a Germantown, luogo dal nome un po’ sinistro che però vide a metà diciannovesimo secolo il nascere di una città-utopia mirata a rendere liberi gli schiavi di colore, fondata da una dama di carità di nome Frances Wright. Clark ha discreto tiro e buona intelligenza cestistica, manca di atletismo: insomma, è una riserva a tutti gli effetti, eppure potrebbe essere uno degli uomini-chiave in una squadra che tutti osservano per il connubio Steph-KD, ma che ha difetti evidenti di profondità del roster, di propensione alla difesa e di protezione del ferro. Però il talento, presente in dosi oniriche, potrebbe anche esser sufficiente per ripetersi: chissà se in data 2016 o 2015. PAYROLL: altino, ottavo della NBA a 106 milioni, e a fine anno scade Steph. Rinnovare potrebbe voler dire ripartire, perché oltre a lui, altri 8 degli attuali Guerrieri (tra cui Iggy e Livingston) vanno in scadenza: tolto Curry, libereranno circa 32 milioni annui.