Una settimana fa Dino Meneghin è stato testimonial di riferimento alla presentazione della 3ª edizione dell’“Old Star Game”, manifestazione che vedrà i Miti di Milano, Varese e Cantù sfidarsi nella sosta di campionato, in un inedito e affascinante “Derby Triangolare”, sabato 24 Febbraio alle ore 20.30 al Pala Banco Desio, per sostenere la Fondazione Operation Smile Italia Onlus, impegnata nella cura di bimbi affetti da Labiopalatoschisi e malformazioni cranio-maxillo-facciali.

Per Super Dino sarà il Derby dei ricordi, si siederà sulle panchine di Milano e Varese.

Meneghin è stato il giocatore più vincente del basket italiano con 12 scudetti, 7 Coppe dei Campioni con i club (oltre ad altri 12 trofei), in Azzurro l’Oro Europeo del 1983 e l’Argento Olimpico del 1980 (anche due bronzi europei nel 71 e nell’75)

E’ stato anche il giocatore più longevo del basket italiano di alto livello ritirandosi a 44 anni dopo 28 anni sui campi di Serie A tra Varese, Milano e Trieste.

Pensi all’Olimpia e qual è il primo flash che ti viene in mente?

“Che sono stato veramente fortunato a trovare a quel punto della mia carriera una squadra così. Senza i miei compagni non avrei fatto nulla, siamo diventati talmente un gruppo che non ci sembrava proprio un lavoro. Stavamo bene insieme e poi questo ci ha fatto anche vincere tutto”

Pensi a Varese invece e qual è il primo pensiero?

“Non posso dire qualcosa di molto diverso. Allora ti rispondo con una domanda. Quando riesci a far parte di un gruppo che partecipa a 10 finali di Coppa Campioni consecutive come puoi non pensare di essere stato fortunato a capitare al posto giusto al momento giusto”?

Nel ventennio ’70-’80 hai dominato l’Europa con le tue squadre, quali le differenze?

“Con Varese arrivavamo sempre in fondo e le avversarie erano sempre le stesse: noi, Real Madrid, Maccabi Tel Aviv e CSKA Mosca. Noi avevamo qualche vantaggio in più perchè poter schierare due stranieri aiutava ad essere più competitivi. Negli anni ’80 invece gli stranieri, almeno due per squadra, talvolta anche qualche naturalizzato, erano la normalità. Erano cresciute anche altre realtà, vincere, forse, era un po’ più difficile. E poi c’è stato il tiro da 3 che ha letteralmente sconvolto il gioco, anche se non se ne abusava come adesso”.

Chi meglio di Dino Meneghin può spiegare la sensazione che si prova quando si vince?

“In effetti mi è andata bene (dice sorridendo, ndr). Vedi coronato il lavoro di tutta la stagione. Non si vince mai per caso, si passa attraverso un viaggio faticoso, ma vederlo coronato ti riempie proprio il cuore. Ricordo la durezza di Nikolic, quante volte si pensava a mandarlo a quel paese, ma poi quando vincevi tutto, capivi che era anche merito di quel tipo di lavoro. Con Gamba e Peterson invece la mentalità si costruiva passo dopo passo. E poi, sembra banale, ma quando provi la gioia della vittoria, la vuoi riprovare già il giorno dopo”.

Si è appena giocato Varese-Milano, ma il tuo derby storico era Ignis-Simmenthal nell’epoca degli spareggi. Tutta la stagione si chiudeva con una gara secca

“Ne abbiamo giocati 3 consecutivi all’inizio degli anni ’70, ma devo dire che con quella formula ogni partita era uno spareggio perchè sapevi che non potevi mai perdere. Appena finiva un match andavi subito ad informarti del risultato di Milano. Era un altro mondo, l’approccio ad ogni singola partita era molto diverso, i playoff hanno cambiato la mentalità. Ora ci si gioca tutto molto più avanti. A quei tempi anche due partite perse ad inizio stagione potevano costarti lo scudetto”.

Estate del 1981, l’emblema di Varese Dino Meneghin passa a Milano. Cosa ti ricordi di quei giorni?

“Avevo 31 anni, pensavo ormai di chiudere la carriera a Varese, invece la società decise di cedermi. Fu strano, così scelsi Milano. Una società organizzata bene e comoda anche per la mia vita, ad un passo da Varese. Eppure l’inizio fu durissimo, mi ruppi il menisco, i tifosi mi guardavano con sospetto. Non ero solo “quello” di Varese, ma ero anche quello rotto. Questo, però, mi spronava, volevo far vedere che non ero bollito, anche se la fatica mentale è stata doppia. Poi, però, è andata bene e abbiamo vinto tutto. Devo riconoscere che la forza della società e del gruppo sono state decisive non mettendomi mai pressione”.

La tua più bella partita con Milano?

“Quelle che ci hanno dato il primo scudetto del mio ciclo (il Billy vinse in finale con Pesaro, ndr) eravamo partiti davvero in affanno e invece abbiamo chiuso in trionfo. Dan Peterson è stato un genio, mi ha messo nella testa il tarlo di andare all’Olimpiade di Los Angeles. All’inizio mi sembrava così lontano nel tempo, invece poi è stato uno stimolo clamoroso.

E invece con la maglia dell’Ignis?

“Quella nel quale festeggiai il mio primissimo scudetto della carriera nel 1969, fu praticamente uno spareggio con Milano perchè arrivammo a pari merito all’ultima giornata. Si giocava a Masnago, facemmo la partita perfetta (Varese vinse 98-68, ndr). Ero un bambino a 19 anni, ma ero già titolare perchè Nico Messina aveva avuto coraggio. Poi non posso dimenticare l’anno dopo anche la prima Coppa Campioni a Sarajevo vinta contro il CSKA Mosca, la consacrazione a livello internazionale, pure con 20 punti segnati”.

Cosa ricordi dei derby del passato, non solo quelli Milano-Varese, ma anche il triangolo con Cantù

“Io lo chiamavo il triangolo delle Bermuda perchè difficilmente chi veniva giocare contro queste squadre tornava a casa con una vittoria. Le rivalità ci sono sempre state, ognuno aveva la sua scuola tecnica fin dagli anni ’60. Non era solo uno scontro di gioco, ma un vero e proprio scontro tra scuole di pensiero, ma tra tutti c’era grandissimo rispetto”.

E’ di attualità il tema degli eleggibilità degli stranieri, come faresti capire ad uno di questi giocatori cosa vuol dire giocare per queste squadre?

“Farei vedere loro gli stendardi appesi al soffitto del palasport. Milano e Varese sono società che hanno costruito non solo giocatori, ma soprattutto uomini; a far la differenza era la squadra e questo esaltava ancora di più i tifosi. Proprio loro vivono ogni singola gara come se fosse quella decisiva, capire lo spirito e il legame con il territorio è fondamentale, come l’atteggiamento in campo deve porre l’altruismo come la base del proprio lavoro”.

Seppur diverse tra loro su cosa punteresti per far crescere le attuali Milano e Varese?

“I tempi sono cambiati enormemente, Milano è una potenza economica, Varese lo è meno. Però una caratteristica che avevano le nostre squadre era quella di essere costruite scegliendo con oculatezza i giocatori e soprattutto che ognuno capisse dove era capitato e quale era la tradizione del club”.

Infine, un aspetto del gioco che riporteresti in auge

“Io sono innamorato del gioco organizzato, quando ti muovi come un’orchestra e tutti toccano il pallone tutti si sentono più vivi. Ora c’è un uso esagerato del palleggio che rende il gioco stantio. Non c’è dubbio che ci sia più talento e atletismo, ma se tutti i componenti dell’orchestra suonano bene insieme diventa un amalgama celestiale”.

La prevendita dei biglietti per assistere all’Old Star Game è disponibile on line sul circuito VivaTicket ed in tutti i punti vendita in Italia.

Per tutti gli Under il prezzo sarà di 1 euro in tutti i settori. Riduzione Gruppi.

SANDRO PUGLIESE –

Ufficio Stampa Old Star Game www.oldstargame.com