Quando andavo a scuola la parola “nerd” non esisteva nel linguaggio comune.

Uno dei rari segni di progresso sociale che mi pare di vedere è appunto lo sdoganamento di quello che ai tempi del mio liceo si chiamava “secchione”. Non era una cosa figa essere un secchione, ora lo è e infatti la parola è stata abbandonata in favore del termine inglese. Nella NBA di oggi, anche tra i One-and-Done, si trovano sempre meno giocatori capaci di credere che giocare a Seattle nello stato di Washington significasse poter avere un appartamento a due passi dalla Casa Bianca (performer: Shawn Kemp). Tra i novelli nerd troviamo per esempio Jarrett Allen, che potrebbe far parte di un collettivo di hacker sul modello di Anonymous; o Jaylen Brown, a mia notizia il più giovane membro del board della Associazione Giocatori della NBA, iscritto ai corsi on line di Harvard e con l’obbiettivo di mettere in piedi una piattaforma di news politiche che si possa definire davvero imparziale. Troveremo, dopo il prossimo Draft (spostato al 15 Ottobre) anche Cassius Stanley da Duke University.

197 cm che possono giocare sia da sg che da pg, nel Mock che preparo ogni anno per Baskettiamo è al numero 43 dell’edizione di Febbraio, ma sta rapidamente scalando posizioni (per Thankaton è N. 38, nella prossima edizione lo metterò a fine primo giro). Risente ancora dell’essere già passato per due brutti infortuni alle caviglie, ma è materiale preziosissimo. Figlio di un agente NBA e di una sprinter di livello quasi olimpico, a Duke è risultato, alle prove atletiche, capace di 46 pollici (117 cm) di leaping ability, ovvero salto da fermo: superiore a quello di Zion Williamson. Non solo: tira triple dall’angolo col 50% e catch and shoot col 43%. Non è un amante dei videogame, ascolta in pari percentuale hiphop, jazz e classica, e ha le idee abbastanza chiare anche sul futuro post-parquet. Semplicemente vuole diventare Commissioner NBA: secondo quanto dichiarato a USA Today ha già iniziato a sondare le possibilità per internship e stage negli uffici amministrativi della NBA. Anche questo, in modo molto meno tragico e traumatico rispetto a quel che stiamo vivendo in queste settimane, è indice del cambiamento. Sempre troppo lento e tardivo, ma che un ragazzo di colore possa avere come traguardo realistico un “dream job” del genere lascia qualche speranza in più riguardo al futuro del mondo.

Certo, le difficoltà derivano anche dal fuoco amico: molti scout non avrebbero scelto nel 2016 Jaylen Brown perché ritenevano che le sue abilità intellettuali fossero un ostacolo alla carriera cestistica; non è escluso che Stanley stia passando per gli stessi pregiudizi.