Nel fine settimana appena passato il basket si è preso un week-lungo di vacanza da sé medesimo, in un certo senso.

Lì dove, più o meno, il Gioco langue/sopravvive, si sono svolte le varie Coppe nazionali; lì dove il Gioco tende a morire, ovvero le manifestazioni FIBA per clubs, si è giocata la Coppa Intercontinentale, trofeo di valore pari a: 0 // zero; lì dove il Gioco fiorisce, si sviluppa ed evolve, si è giocato lo NBA All Star Game 2019. Sì, è una fiera di paese: ma magistralmente diretta. Magistralmente esportata. Magistralmente interpretata. Al termine della quale la differenza tra appassionati del Gioco ha sempre il segno “+” rispetto al numero del “prima”. Sì, la sfida principale non è quasi mai granché, e di certo 165 triple sono un po’ tante: ma l’All Star Saturday è stato davvero divertente, dotato anche di richiami non banali che in Europa spesso nemmeno ci preoccupiamo di conoscere. Esempio: la sede. Charlotte doveva ospitare la manifestazione anche nel 2017, ma la NBA traslocò quasi all’ultimo momento per via di una legge su…chi può andare in bagno e in quale bagno..promulgata dall’allora governatore, un repubblicano modello “nazisti del Kentucky” del film The Blues Brothers, legge che attentava alle libertà della comunità LGTB. Il Governatore è cambiato, nel frattempo (pur se per un pugno di voti), e la legge è stata cancellata, facendo tornare in North Carolina lo ASG. Le dimensioni tecniche della gara da 3 punti sono state tali che per due volte un concorrente capace di totalizzare 23 (sui 34 disponibili) è stato eliminato (Danny Green e Devin Booker) e il vincitore (Joe Harris) ha dovuto fare un 25 e poi un 26 per passare sopra a Steph Curry (27 e 24). Anche la gara delle schiacciate è stata pregevole: Hamidou Diallo, il vincitore, forse è stato eccessivamente premiato per due 50 che potevano essere 50+49 o un doppio 49, ma in ogni caso ha schiacciato alla grande, mentre purtroppo è stato penalizzato John Collins che ha ricevuto poco per una schiacciata più coreografia che esecuzione; il punto è che è ancora Febbraio, ancora Black History Month, e la schiacciata di Collins, volando sopra un modello di aeroplano pionieristico circondato da figuranti di colore vestiti da aviatori dei tempi che furono, mirava proprio a celebrare il contributo misconosciuto di tanti aviatori di colore alla storia del Volo a Motore. Cosa che non solo noi europei non abbiamo colto, ma anche molti afroamericani. Già, noi europei. Allora: in Italia la Finale è tra due squadre dal bilancio in campionato di 12-7 (62%), una allenata dal coach della Nazionale, l’altra presieduta dal capo della Lega; in Turchia vince la squadra migliore ma non nella sua versione migliore, perchè le regole turche (nomen omen..) impongono un trattamento protezionista rispetto ai giocatori indigeni, causando un livello tecnico e spettacolare inferiore; in Grecia la (adorabile) anima fumantina ellenica provoca il primo caso di squadra (e che squadra: l’Olympiacos) che per protesta contro l’arbitraggio molla tutto e se ne va a casa all’intervallo; in Spagna l’ennesima edizione di Real-Barcellona, oltre a una crisi epilettica a chi non ne può più della parola “clàsico”, provoca anche la minaccia (Real) di uscire per sempre da Lega e Federazione spagnole: anche in questo caso sotto accusa l’arbitraggio, col Real che non vuole la Coppa né rigiocare il match, ma la dichiarazione scritta che la gara gli è stata rubata dai refs. Della Coppa Intercontinentale che dire: vinta dall’AEK (quinto per differenza canestri in patria, dove le squadre sono 2) degli scarti dell’Eurolega altrui (Theodore, Maciulis, e mi fermo), davanti al Flamenco, al San Lorenzo, e alle riserve del team di sviluppo dei San Antonio Spurs, gli Austin Spurs; una tristezza mai vista. Il panorama offerto dall’Europa (Eurolega esclusa) è sinceramente sconfortante, e tutti coloro che si divertono a dire che lo NBA ASG è una fantozziana “cagata pazzesca” dovrebbero pensare che, in un orizzonte come quello tracciato dalle Coppe nazionali, il vero motivo per cui il Basket non perde tifosi (SE non li perde) è il tifo. Le curve, tutto quel mondo che si definisce con nomi da Arditi a Irriducbili, Leoni e OrgoglioDaspo e che è un peso di cui prima o poi bisognerà parlare nell’ottica di una vera evoluzione del basket in Europa. Non c’è NULLA di tecnico nel galleggiamento europeo del basket. Così come non c’è nulla di costruttivo nel deridere lo AllStar Weekend della NBA, e nulla di raffinatamente erudito nel seguire le sparate dei soliti 4 o 5 santoni stantii che in Italia predicano il basket dei 70’s o, al massimo, degli 80’s. Il Gioco ha preso una direzione, potenzialmente barbarica, ma al momento in realtà efficace: checchè ne dicano i suddetti santoni, questa, NBA in particolare, è l’epoca in cui il maggior numero di giocatori padroneggia al meglio il maggior numero di fondamentali, essendo dotati di fisici che, solo 20 anni or sono, erano del tutto impronosticabili. Come dice Alessandro Baricco nel suo ultimo libro, la sola salvezza per il mondo (in generale, non solo il Basket) è imparare ad equilibrare la svolta 4.0 con il sapere del passato, senza snobismi o isterie o seclusioni nel castello del proprio (assai presunto) superiore sapere. Se davvero sono pericolosi i nativi-tripleggianti, quel che serve è un Carlo Magno, un Federico di Svevia, un Voltaire…non i due vecchietti dei Muppets o un CeccoBeppe bofonchiante e con gli occhi sulla nuca. Sì, lo ASG è una fiera di paese, ma raduna e distribuisce passione, non urla di presidenti o minacce di ritiro da partite e campionati, lascia immagini positive e non di curvaioli con gli occhi fuori dalle orbite e la panza che si arrotola alla transenna.