Chiusura “evangelica” del mercato dei restricted fre agents, quelli che possono mercanteggiare il loro contratto perché sono i più bravi o i più furbi, o piacciono di più alla gente. Dunque tornano a casa, per loro si festeggia e si uccide il maiale grasso (metafora del lauto ingaggio), LeBron e Melo che sono i due Bronzi di Riace della NBA.

Ma si tratta di due scelte profondamente diverse, l’una una profonda – con beneficio d’inventario quando si parla di star system – riflessione di vita e l’altra una grande montatura pubblicitaria studiata probabilmente fra i Knicks e la sua star per far scordare la penosa ultima stagione newyorkese e ricreare entusiasmo al Madison che è la Scala dello sport americano.

Se il “Prescelto” ha deciso di rimettersi la maglia dei Cavaliers e fare pace con Cleveland, la città sportivamente più sfigata d’America, sul Lago Erie, a pochi chilometri dalla natia Akron, parlando di una decisione dovuta a un qualcosa “molto più del basket” come la missione di risvegliare un orgoglio locale, l’economia del laborioso Illiois (il Dan Peterson State…) e la stabilità familiare dopo aver recentemente sposato la sua Savannah che dopo due figli regalerà fra poco una femminuccia al suo eroe, superba la recita dell’ineffabile Melo.

Il figlio di una Brooklyn non ancora degna di avere un Barclay Center, un tempo periferia regno degli emigranti, chiamato dalla madre con l’italianissimo nome di “Carmelo”, è stato il protagonista di una specie di reality show in quattro puntate al quale ha recitato la sua parte anche la moglie attrice facendo capire che poteva recitare a Hollywood.

I quattro episodi sono stati ambientati fra Chicago, Houston, Dallas, Lakers, per finire – dopo una smentita spudorata tanto era falsa – ai Knicks, solo allo scopo di partenza: essere la star indiscussa dei guadagni, e fare – da buon sindacalista dei giocatori – anche da traino ai colleghi della NBA nel rialzo dei salari.

Una trovata meno cruenta di un secondo lock out che si profila già all’orizzonte perché i 130 milioni in dollari – quando ne voleva 126 – sono un’esagerazione che rischia di far saltare prima o poi il banco riassestato, rilanciato e tenuto assieme faticosamente negli ultimi tempi da David Stern che dopo 24 anni lascia un vuoto e forse non avrebbe permesso questo raid intriso di speculazione e di piccole vergogne (vogliamo parlare del fotomontaggio dei Rockets con Melo e Lin, dopo che il primo aveva definito ridicolo l’ingaggio offerto all’ex compagno da parte di Houston?) e poco di sport.

Melo è un grande giocatore per capacità balistica e classe, ma non è un vincente, non fa squadra, non ha mai vinto un titolo e all’inno americano, per la vittoria degli Stati Uniti alle Olimpiadi, lui aveva le mani in tasca mentre i compagni, per primo LeBron, il pugno sul cuore. Lebron James 505

La sorpresa alla chiusura del mercato del lusso è anche il contratto al ribasso – si fa per dire – di James, 42,1 milioni di dollari “con prospettive di crescita di salario per il futuro”, la rinegoziazione rinnovo a fine stagione quando diventerà nuovamente “free agent “che significa che avrà la facoltà di ridiscutere la cifra. Sarà vero che si tratta di quattro anni, o diciamo che potrebbero essere “seconde nozze” stipulate per interessi reciproci, perché un eventuale titolo dopo 50 anni di magre nello sport professionistico delle squadre di basket, football e baseball potrebbe portare benefici economici immensi a uno degli stati più industrializzati degli Stati Uniti. Leader nei copertoni d’auto, le batterie per le auto, il cemento. E inoltre scade fra un anno il contratto televisivo che significa altre prospettive di guadagni.

“Non potremmo essere più felici per questo ritorno a casa di LeBron”, tenta di allontanare certi discorsi di business il general manager dei Cavaliers David Griffin. “Durante la trattativa – ha aggiunto Griffin – LeBron ha premesso che non avrebbe scelto nessuna città al di fuori di Cleveland, dove ha sempre pensato di terminare la sua carriera. Queste parole e il nostro impegno ci hanno messo nella miglior posizione per capire che questo goal era possibile. Le speranze erano elevate ma nessuno avrebbe pensato a un successo automatico e immediato”.

Chiusa la trattativa, James ha raggiunto Rio per assistere alla finale del mondiale di calcio fra Argentina e Germania, mentre le tessere del mercato cominciavano ad essere sistemate ad una ad una, e in attesa della destinazione che sceglierà Kevin Love che non vuole rimanere a Minnesota mentre sui social network si legge che New York potrebbe mettere sul mercato Andrea Bargnani e Amar’e Stoudemire.

Per “risparmiare” intanto New York ha messo alla porta l’errabondo Lamar Odom bruciato da un amore cieco con una delle civettuole e poppute sorelle Kardashan sembra inseguite dai fotografi. Pensate, fu ingaggiato da Phil Jackson sul fine dell’ultima stagione, ma il santone adesso dichiara “non è stato capace di tornare ai livelli di un giocatore NBA”. Siccome non ha giocato nemmeno una partita, Phil dovrebbe pagare di tasca sua, no?

Dopo il tweet con cui Jeremy Li si sentiva offeso dai suoi dirigenti, i Rockets motivando che non legava tecnicamente con Harden, hanno preferito mettere nel quintetto Patrick Beverley per la tenacia difensiva mandando la più incredibile meteora della NBA, nata da un’intuizione di Mike D’Antoni, che ha suscitato l’orgoglio giallo in tutto il mondo, in quel di Los Angeles. Destinazione Lakers, giallo su giallo, come alternativa a Kobe che l’anno passato ha giocato sei gare sole.

Il trasferimento serviva per pagare un big, in realtà Chris Bosh grazie a LeBron tentato dagli Houston con 5 anni di contratto è stato pareggiato da Miami per 118 milioni di dollari e i Rockets hanno firmato per 32 milioni (4 anni) con Trevor Ariza (29 anni, 14,4 punti, 6,2 rimbalzi) uno dei giocatori più importanti della buona stagione dei Wizard che confermato per un anno coach Randy Wittman ha investito su Paul Pierce che dopo essere stato un inamovibile dell’ultima stagione vincente dei Boston Celtics che gli è valso il nickname di “The Truth” (La Verità) si è ritrovato sul mercato e a 36 anni (13 punti, 4,6 rimbalzi, 2,4 assist di media in 15 anni di NBA) ha firmato un biennale da 5.3 milioni con opzione al 2° anno ma solo da parte del giocatore. Mercato interessante per la squadra della capitale che con due star dietro, Wall & Beal, ha preso anche il mago dei finali thrilling, Andre Miller, e firmato per 5 anni come centro con il polacco Marcin Gortat, con 60 milioni di dollari lo sportivo più ricco della nazione dell’Est.

Delusione a Brooklyn per la partenza di Paul Pierce che l’anno passato era stato al centro di una campagna-acquisti da 180 milioni di dollari. Il russo Mikhail Prokhorov se l’è vista brutta all’inizio di stagione, poi la squadra ha recuperato, ha battuto Toronto al 1° turno dei playoff e perso al 2° con Miami ma s’è rotto qualcosa con coach Kidd e ha dovuto garantire a Boston ben 3 prime scelte.

I Clippers hanno firmato il tiratore da 3 C.J. Willcox (n.28 del draft, 18,5 punti di media con gli Huskies), i Raptors dopo Kyle Lowry hanno confermato Patrick Patterson, ala forte, uno dei 7 giocatori del giro di mercato con Sacramento a dicembre che si è conquistato la fiducia di Dwane Casey con 9,1 punti, 5,1 rimbalzi e guadagnerà, a 25 anni9, 4,8 milioni a stagione. Fu scelto al n.10 dai Rockets nel 2010.

Gordon Hayward, uno dei migliori tiratori della Lega, ringrazia Charlotte per l’offerta di 63 milioni per 4 anni, e anche lui torna sui suoi passi, sui social forum la guardia-small forward ha speso parole carine per i dirigenti di Utah (“grazie per aver creduto in me, abbiamo molto lavoro da fare!”) e gli Hornets hanno ripiegato su Marvin Williams (14 milioni per 2 anni, 10,8 punti e 5,1 rimbalzi) atleta potente in grado di giocare ala piccola e grande.

Miami ha trattenuto dunque Bosh, preso Josh McRoberts, Cody Zeller dai Cleveland e al draft al n.9 Noah Vonley, un ragazzo ben piantato con buona mano.

Gli Hornets hanno preso Scotty Hopson, fermo un anno per una frattura da stress per soldi in cambio del centro Brendan Haywood e dai Cavaliers i diritti di Dwight Powell n.45 del draft.

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