A 31 anni e 1 giorno dall’impresa di Nantes, il titolo europeo, Gamba ha compiuto 82 anni. L’ho visto l’ultima volta a Roma, per le celebrazioni petrucciane di quel meraviglioso risultato al quale come primo inviato della Gazzetta dello Sport non potei assistere perché alla vigilia della semifinale dovetti rientrare per la scomparsa di mio padre. Qualcuno non l’ha voluto ricordare, puerile dimenticanza , pazienza anche Dorando Petri aveva vinto la medaglia d’oro e gliel’hanno tolta ma il ricordo è rimasto e il vincitore nessuno se lo ricorda.

 Elegante, un foulard di seta attorno al collo, “don Lisander”, per dirlo alla Manzoni, si appoggiava sul bastone ma gli buttai lì questa battuta: “Sandro, quel bastone è da difesa, sono convinto che fuori di qui ti metti a correre e dai ancora la birra a tutti”.

Sul web Oscar Eleni ha ricordato con sentimento e una bella dedica questa data velata dello Spartaco di via Washington, come lo chiama lui. Credo che parlasse di Spartaco l’ex schiavo che comandò la rivolta contro una Roma oziosa e corrotta. Metafora indovinata e non bisogna nemmeno spiegarne il senso..

Alessandro detto Sandro è nato il 3 giugno 1932, in via Washington, zona Fiera di Milano, vicino ai santuari del basket d’epoca e lo stabilimento della Borletti dove era un buon disegnatore, da qui il pallino per gli schemi, l’Amore per il basket all’americana e la cultura americana, basket e jazz. Era suo, mi hanno raccontato, il layout del cruscotto della 600, l’auto del boom economico italiano.

Durante la Guerra, giovanissimo, fu colpito da una scheggia alla mano, ma nonostante la ferita diventò una colonna del glorioso Simmenthal col quale vinse 10 scudetti e fece parte della nazionale dei Giochi olimpici di Roma. Quella del primo boom del basket con 15 mila tifosi a gridare per la prima volta “Italia, Italia” anche se per un gioco di risultati fu quarto posto e non medaglia.

Ha giocato nel Simmenthal dal 1950 al 1963, dal ’55 al ’60 in azionale (64 partite, 210 punti) , poi divenne vice di Rubini dal ’65 al ’73 come vice di Rubini con altri 5 titoli, 2 coppe delle Coppe e una Coppa Italia. Lasciò nel ’73 Milano per Varese coronando l’epopea della squadra della famiglia Borghi che dopo Ignis ebbe altri marchi vincendo 2 coppe dei Campioni, poi dal ’77 al’80 a Torino, dal ’79 all’85 allenatore della nazionale con l’argento alle Olimpiadi di Mosca battendo l’Urss di Belov, poi alla Virtus di Bologna con Porelli e nuovamente al Settore squadre Nazionali dall’87 al 92. Poi ha fatto anche tante altre cose, il selezionatore del Resto del Mondo U22, l’analista, il basket ha reso il suo tempo prezioso.

Con Rubini e Meneghin è stato insignito della Hall of Fame , il massico riconoscimento nel basket mondiale dove pochi europei sono riusciti a trovare un posto fra i grandissimi, e dove difficilmente se andiamo a vedere gli ultimi 15 anni del nostro basket, bisognerà aspettare un’altra generazione. Però sta montando, grazie a Stankovic, la candidatura di Recalcati che ha il primato di aver vinto uno scudetto storico con tre squadre diverse, la prima volta della Fortitudo e di Siena e lo scudetto della stella di Varese, quello degli indimenticabili, e l’argento olimpico. Ultimo grande traguardo della squadra azzurra.

Arriva a Venezia (e ha fatto bene il signor Brugnaro che memore dei “duri banchi”, ha capito che ci vuole un allenatore che oltre a essere un coach “sappia di storia”) e nessuno, dico nessuno, si accorge dei suoi 70 anni. Portasse anche Venezia allo scudetto, chiaramente a Springfield proporrebbero la sua nomination. Peccato gli sia stata tolta – in circostanze poco chiare – la Nazionale perché Meneghin gli aveva rinnovato il contratto e poi gli ha tolto la squadra, un ripensamento tanto brusco da parte di un amico non s’era mai visto. A Milano, dove è nato il Charlie dalle parti dell’Arena, dicono che “san Gioan fa mia d’ingann”. Infatti molti lo vorrebbero presidente della Federbasket, e non è detto che uscito dalla porta secondaria rientri da quella principale.

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