I Golden State Warriors violano la Quicken Loans Arena di Cleveland, e riportano la serie in parità: 2-2.

Se in gara3 si poteva azzardare che Blatt avesse un po’ portato a scuola coach Kerr, si deve altrettanto ammettere che il biondo ex compagno di squadra di MJ ha imparato bene la lezione. Per mantenere un legame con l’attualità cesstistica italiana, potremmo anche dire che Kerr ha vinto questo importantissimo episodio delle Finals 2015 con una mossa “alla Menetti”. Erano parsi evidenti i problemi di GS nel giocare, su ambedue le metà del campo, tenendo sulle tavole Bogut: come coach Menetti con Riccardo Cervi, così Kerr ha tenuto fuori il centrone australiano, iniziando la gara col quintetto da smallball estremo, mettendo Draymond Green da centro e inserendo Iguodala nello strating five. Risultato: nel primo tempo 3 minuti di gioco per Bogut (e 3 alla fine), 5 minuti per David Lee (e 15 alla fine, vedrete come), Warriors avanti di 12 come mai era successo dall’inizio delle Finals. I 54 punti di stanotte a fine secondo quarto sono significativi della migliorata efficienza offensiva dei californiani: per segnarne 55 avevano impiegato tre quarti in gara3, e all’intervallo lungo si erano fermati a 48 e 45 in gara 1 e 2 rispettivamente. Quintetto leggero, ma, a parte Curry, formato da quattro uomini abbastanza simili per caratteristiche fisiche, con uno dei quattro (Green) dotato di sufficiente massa e passione per fronteggiare il 5 dei Cavs, fosse Mozgov o Thompson. La circolazione di palla ne risultava miglioratissima, perchè in campo Golden State aveva 5 uomini capaci non solo di leggere la difesa dei Cavs, ma anche, fisicamente, di adattare di conseguenza il proprio gioco e la posizione in campo, cosa in cui Bogut si trovava decisamente in difficoltà. Il momento più problematico per gli Warriors arrivava nel terzo quarto. Un po’ per gli opportuni adattamenti di Blatt, un po’ perchè dopo il riposo Cleveland era uscita dagli spogliatoi molto determinata, e avrebbe piazzato un parziale di 12-0 subito dopo esser finita sotto di 15. Il parziale era dettato da LBJ e da Mozgov in particolare, ma anche da 2 triple di Dellavedova, che però doveva tornare in panchina per problemi muscolari legati al ricovero per disidratazione subìto dopo gara3. L’energia e la pressione dei Cavs non duravano quanto nelle due gare vinte, dando a tutti la certezza che anche James e Dellavedova siano dopotutto esseri umani che risentono della stanchezza. Anche in considerazione della autentica non capacità, stanotte, di metterla da 3 (JR Reid 0/8, Shump 1/5), Blatt ha molto insistito sulla palla dentro a Mozgov, che infatti ha raccolto un grande bottino (28+10, di cui 6 offensivi), ma, come il 4/4 di David Lee non aveva spaventato Blatt martedì (e nemmeno un 10/10 lo avrebbe fatto), così la gran partita del Russo non era altro che il biglietto che Kerr aveva accettato di pagare entrando nell’autostrada del quintetto piccolissimo. Nel terzo quarto, divenuti un po’ troppi i rimbalzi offensivi concessi ai Cavs, e decisamente troppi i falli sulle spalle di Draymond Green, Kerr ha dato altri minuti a Lee, che ha risposto bene, sommando alla sua capacità realizzativa e di rimbalzista anche una difesa accettabile pure sugli aiuti e un paio di assists su ottime letture ribaltando il campo dal post basso. Uno di questi passaggi era per i punti da 20 a 22 di Iguodala, senza dubbi il MVP di gara4. 22+8: lui, che tiratore non è mai stato, ha messo 4 triple su 9, e 4/6 da 2. 22 è il suo career high nei  playoffs, e non deve far dimenticare la difesa su James e nemmeno, pur in assenza di assists, quella sola piccola palla persa che continua a farlo essere, e con galassie di distanza sul secondo, il miglior giocatore nel rapporto assists-palle perse nei Playoffs 2015; i numeri del vostro umile cronista dicono 42 assists vs 9 perse, un rapporto che sfiora il 5 a 1. Per dare maggiormente l’idea di che tipo di partita abbia deciso di giocare (e di concedere ai Cavs) coach Kerr, si pensi che 10 tiri (6 imbucati) li ha presi anche Tristan Thompson, il miglior lungo dei Cavs, che però non è esattamente una primaria opzione offensiva: quel numero di tiri lo raggiunge in 10 o 12 quarti di gioco, solitamente. Resta impressionante la sua propensione al rimbalzo. Proprio come nei pomi omerici le divinità, gli eroi e le manifestazioni naturali godono di aggettivi e definizioni sempre identiche o spesso ripetute (il mare è molto di frequente “nero come vino”, oppure l’aurora è “dalle dita di rosa”), il buon Tristan ormai in ogni teleconaca si porta appresso le parole “(TT) grabs the (offensive) rebound”, le quali dopo qualche minuto diventano per forza “(TT) grabs another (offensive) rebound”. In ogni caso, stanotte la tattica di Kerr ha avuto la meglio, nè si deve dimenticare lo sforzo che Cleveland, azzoppata in 2 dei suoi BigThree, deve compiere a livello fisico. Un esempio per tutti: prima di star seduto 1 munto e 50 secondi a inizio dell’ultimo quarto, nei 36 minuti precedenti James aveva riposato per 2 e 10 su 36. La chiave tattica non può prescindere dalle considerazioni sulle energie residue dei giocatori: anche in questa luce diventa importantissimo, per non dire fondamentale, un apporto migliore per Cleveland da parte di Shumpert e soprattutto JR Reid, l’unico tra i Cavs a poter gestire possessi “à la James”, non solo per talento ma anche per impatto della personalità sul gioco e sull’ambiente, arbitri compresi. A proposito: che personaggio Joey l’Elmetto, molto più personaggio che arbitro.