Prendo a prestito la frase coniata da Kobe e ribadita da Obama, conscio delle differenze.

La follia estiva 2018 degli Houston Rockets si era espressa non solo nel contrattone (160 MM in 4 anni) elargito a Chris Paul, che prima non gioca per non infortunarsi e poi non gioca perché si è infortunato, dal momento che qualche problema lo coglie sempre. La follia si era espressa anche con l’ingaggio di Melo. Che da un paio d’anni è in grado di essere efficace solo in estate, quando c’è da postare video in cui si allena o fa 3 vs 3 senza sbagliare un tiro, conciato come un palombaro…ad Agosto, dentro una palestra.

E poi non esiste solo il campo, ed abbiamo tutti un amico come Melo. Che tutti stimiamo. In pubblico. Poi, in privato, non possiamo fare a meno di denotarne i difetti, e scopriamo che ci sono tantissimi altri con la nostra stessa opinione. Un amico che tutti adoriamo. Quando lui è nella stanza. Poi, se non c’è, non ci sforziamo troppo per invitarlo in giro. Andiamo alle sue feste, perché sono grandiose, ma non è tra i primi che invitiamo alle nostre. La vostra donna è via, il vostro miglior amico è malato, della PS non avete più voglia, in TV non c’è nulla e Netflix vi esce dagli occhi…eppure non telefonate a Melo.

Sul campo è il top-scorer all-time di TeamUSA, principalmente per il fatto di essere quello con più presenze. Nazionale a parte, con la quale era impossibile perdere, la prima cosa che ha vinto è anche l’unica: il Titolo NCAA con Syracuse. Nella NBA ha record personali, nessuno di squadra. Nella NBA ha perso il treno delle triple, rifiutandosi di specializzarsi davvero: voglio dire che ha imparato Baynes (centro australiano dei Celtics e sinonimo di ruvidezza nel vocabolario cestistico) quindi per Melo sarebbe stato davvero facile diventare, almeno nella fase calante della carriera, un triplista d’eccellenza. Ma no, ha preferito fino alla fine insistere: io sono uno scorer, io sono Melo, io parto in quintetto.

Per entrare nella waiving list degli Hawks in uscita da OKC e poi poter passare a Houston questa estate ha rinunciato a una consistente somma in milioni: non nobile né da criticare, semplicemente un gesto utile a poter rendersi complice della follia texana. Stregato dall’idea di poter vincere un Anello, è finito in un ambiente già critico per la presenza di due stambecchi dalle corna assai sviluppate (Harden e Paul), in aggiunta guidato da un coach con il quale aveva già avuto modo di litigare. “Non la passi mai e non difendi” era stato il pomo delle discordie con Mike D’Antoni ai tempi dei Knicks. Allora Melo difendeva almeno contro gli avversari di prestigio e nelle gare di cartello, e viaggiava a poco meno di 4 assists a partita. Come poteva andare, secondo voi, ora che difende solo in post-basso ed è efficace in attacco solo da post-basso, spot da cui, tuttavia, ingoia palloni e basta (meno di 1 assist a partita)? Stentato 40% dal campo e generalmente (con qualche eccezione) sotto al 30% da 3, in una formazione come i Rockets che fa del centrocampo e delle triple il cardine offensivo, e del cambio sistematico l’ordine difensivo principale. Triste ma logico che arrivasse a chiudere la sua carriera NBA con un “ok, me ne vado prima di venir cacciato”. Difficilmente qualche altra formazione della Associazione si prenderà briga e contratto, pur poco costoso; in ogni caso, messo ufficialmente fuori rosa da HOU, fino al 15  Dicembre Melo non potrà trovare altra casa. La sola proposta concreta sembra al momento la Lega Portoricana, da cui, per bocca di JJ Barea, è arrivato anche l’invito a unirsi alla nazionale caraibica. Melo infatti ha il doppio passaporto, e, pur avendo già giocato fior di manifestazioni per gli USA, potrebbe essere liberato dalla Federazione americana con una specie di lettera di benestare al competere con altra nazionalità: una procedura insolita ma esistente. Pensiero personale: meglio smettere del tutto.

P.S. Questa notte Houston ha perso in casa vs Dallas, con una prova imbarazzante: non era ovviamente tutta colpa di Melo, ma il suo ingaggio era il sintomo di un ambiente fuori controllo, che la presenza di Anthony non poteva in alcun modo rendere migliore, non sulle tavole e nemmeno nel locker.