Inizia il giro di valzer in casa delle sfavorite dal seeding. 3 gare su 4 in purissimo stile NBA Playoffs: intensità, miracoli, e tabellate!

EASTERN CONFERENCE

Atlanta Hawks (1) – Washington Wizards (5). Vigilia con Randy Wittman che cazzia la stampa brutalmente per una notizia apparsa sul Post, a suo dire inventata,  in cui veniva raccontato di un vivace alterco tra Wall e lo staff medico della squadra. Vigilia con la notizia dell’assenza di Wall anche per gara3. Durante la gara lo spiritato Wall (ha fatto più salti dalla panchina che se fosse stato in campo) ha ammesso di non aver ancora nemmeno provato a palleggiare perchè sente dolore al polso anche in posizione di riposo. La partita. E’ il caso di rispoverare il jingle: I LOVE THIS GAME. Intensità, botte, ingiustizie arbitrali, giocatori mai esplosi che improvvisamente (o quasi) deflagrano in prestazioni e gesti da campione, veterani che non muoiono mai. E tabellate a vincere le partite. L’intensità iniziale è quella della partenza di Washington, che se ne frega dell’assenza di Wall, piazza in quintetto Ramon Sessions (uno che ha cambiato 7 squadre in 6 anni, e forse ha trovato un posto dove fermarsi..), approfitta del limitato utilizzo (dalla panchina, in quintetto Pero il Macedone) di Millsap influenzato ed entra nel quarto periodo a +19. L’intensità è quella della disperazione di Atlanta, che deve fare i conti anche con l’infortunio di Horford….o forse no: il lungo è andato negli spogliatoi, con un problema al ginocchio, ed è tornato in panchina dopo cinque o sei minuti , ma, durante questo lasso di tempo, Atlanta aveva iniziato, senza di lui, il parzialone di 17-0 che la stava riportando in partita. Horford, dunque, non pare esser rimasto fuori per l’infortunio, ma per il rendimento della squadra, in quel momento ottimo. Le botte sono quelle di Teague su Beal in contropiede: atterrato brutalmente, flagrant-1 alla pg degli Hawks; le botte sono quelle di Beal su Teague, vendetta mascherata che non frutta nulla ai danni della guardia di Washington, dando vita alla necessaria, in ogni romanzo NBA, ingiustizia arbitrale. Il miracolato è Otto Porter jr., che, dopo aver dato discreti segnali sia in gara1 che in gara2, esplode finalmente, dopo due anni di quasi inutilità (a dire il vero anche vessati da un brutto e lungo infortunio): 17-9-4, 1 recupero e nessuna persa in 40 minuti, impreziositi da un reverse in cui il giocatore ha mostrato uno hang-time degno di MJ. Tutto questo per arrivare a 14 secondi e 1 decimo…pari: 101. Con un canestro eroico: Schroeder che scivola e cade nell’angolo destro dell’atttacco di Atlanta, da sdraiato vede e serve Muscala per la tripla che ovviamente, essendo impossibile, entra. L’ultimo capitolo è quello del veterano che non muore mai. PP, Captain America, The Truth, chiamatelo come volete. Entrato in questa partita avendo più del 50% da 3, non ha mai tirato dall’arco, ma solo da 2 (7/9 alla fine). Questo significa giocare e sentire le partite secondo dopo secondo sul campo, non prevederle o contare sull’efficacia della statistica positiva. Palla a lui, 7 secondi, step-back, tabellata, canestro, vittoria. Wizards in vantaggio nella serie 2-1. Non perdete le prossime.

Cleveland Cavaliers (2) – Chicago Bulls (3). “Una rosa è una rosa, è una rosa”. Il verso più famoso del poema Sacred Emily di Gertrude Stein introduce magnificamente gara3 della serie, vinta da Chicago. L’ha vinta D-Rose allo scadere, con un impossibile tiro tabellato (il primo della serie che ha contraddistinto il finesettimana dei Tabelloni Aperti nella NBA), ma per tutta la partita il ragazzo che è nato e gioca a Chicago ha dato dimostrazione del suo talento. Ha anche difeso. E’ stato costante. E’ stato sia trascinatore che al servizio dei compagni. Ovviamente la sfortuna ha colpito l’entusiasmo chicagoano con lo contrattura/stiramento di Gasol, che è in dubbio per gara4. Ma proprio dal sostituto dello Spagnolo, ossia il Montenegrino-Spagnolo Mirotic, è arrivato il quid che, assieme alla prestazione di Rose, ha dato la W ai Bulls. Mirotic, finora dimenticato in panca durante i Playoffs, era in realtà entrato nella post-season forte di un marzo spettacolare, in cui era stato il migliore della NBA nella categoria dei punti segnati nel quarto periodo: 136, più di chiunque, più di LBJ, di Davis, di Steph…e qui si innesta la domanda, che molti si pongono, sulle visioni offensive di coach Thibodeau. Cleveland si era avvalsa del ritorno di JR Smith, estremamente positivo: è stato lui a mettere dentro la tripla del 96-96, e continuiamo a ritenere che sia la guardia ex NY l’ago che può spostare i Cavs verso la Finale. Gara nervosa, che si apre con 251 secondi di siccità, interrotti da due liberi di LBJ, inventati dagli arbitri. Noah è più urla che arrosto, e pensate che, dei 7 tiri sbagliati nel suo 1-8, almeno 5 hanno toccato a stento il tabellone, e non erano tiri da fuori: 11 rimbalzi sono buona cosa, ma si capisce come, pur con Gasol fermo da metà gara in poi, Jo-No abbia totalizzato solo 22 minuti. In particolare, dopo aver preso una schiacciata da James, il Francese aveva lucrato un tecnico perchè LBJ gli aveva urlato qualcosa in faccia, ma Noah non ha resistito, ha replicato all’uomo dell’Ohio e ha permesso ai grigi di mollare un tecnico anche a lui, annullando il viaggio in lunetta, con il coach di Chicago incapace persino di arrabbiarsi col proprio giocatore. Un punto in meno che avrebbe potuto costare caro. Se siete amanti dei fondamentali difensivi, riguardate questa partita: vedrete tanti salti perfetti nel cilindro ad ostacolare i lay-ups, tanti palloni miracolosamente sporcati, vedrete il reprobo Noah scivolare come una guardia e tenere senza nessun problema gli esterni dei Cavs. E vi verrà un dubbio: ma se Cleveland , infortunatosi Varejao, si fosse tenuta e avesse adeguatamente sviluppato Tyler Zeller invece di mollarlo ai Celtics per un pugno di noccioline e dover poi andare a prendersi Mozgov? Chicago conduce 2-1, ma il pronostico, anche per l’infortunio a Gasol, pende ancora un po’ verso i Cavs.

WESTERN CONFERENCE

Golden State Warriors (1) – Memphis Grizzlies (4). Memphis tiene il servizio, e guida 2-1. A proposito di questa serie ci eravamo lasciati con la domanda su cosa avrebbe riservato, in casa, coach Joerger (most under-rated coach) ai ragazzi di Kerr. Ha sguinzagliato Gasol e Tony Allen. Se siete appassionati di balletto immaginate Nijinsky rispetto ad una staccionata ed avrete Marc vs Bogut; se amate il National Geographic riportate alla mente qualche documentario in cui un ghepardo parte all’inseguimento di una gazzella ed avrete Tony Allen vs il pallone da basket nelle mani dei Guerrieri (con preferenza per Gemello-Klay). La superiorità di Gasol, in particolare, ha convinto Kerr e il suo staff ad usare moltissimo il quintetto tutto-basso, con D-Green da 5, tenendo Bogut a 22 soli minuti, Ezeli a 9, Speights a soli 6, e David Lee in panca perenne. Questa scelta non pagava, perchè la superiorità di Gasol non veniva infranta dalla maggior (relativamente…) mobilità avversaria, ma concedeva un vantaggio a rimbalzo a Memphis (anche se non esorbitante, 44-39) e soprattutto apriva ai Grizzlies il pitturato: il loro 32/66 da 2 è significativo, perchè, essendo ormai rarissimi i long-two, testimonia di un bel pasto concesso sottocanestro agli orsetti da parte di Golden State, sublimato nel 4/4 del Greco Koufos. I danni che Tony Allen produceva anche nella psiche degli esterni californiani, invece, portavano Kerr a scegliere di tenere in campo ad oltranza le sue guardie titolari, sperando nel loro sbloccarsi, prima o poi. Non era ripagato nemmeno in questa scelta, e i soli 9 minuti di Livingston sono apparsi una rinuncia eccessiva. Il 2-0 nel game-plan  a favore di Joerger veniva aiutato dal coraggio fisico di Conley, che con la faccia rotta ed operata, si metteva, tra le altre cose, sotto a Barbosa per prendere uno sfondamento che faceva impazzire pubblico e compagni. Nonostante tutto, nel quarto periodo, sotto di 19, Golden State trovava la se stessa dei tempi belli e piazzava un 20-5 che la riportava a soli 4 pti dai Grizzlies. In questo momento arrivavano prima una tripla di Courtney Lee (uno di quei giocatori di sottobosco che Joerger sa valorizzare al massimo) e poi una seconda tripla (tabellata, ed era il terzo tabellone-amico del giro delle gare3) di Marc, per riportare Memphis sopra di 10. In questa serie il pronostico diventa difficile, perchè, dicendo Golden State ancora favorita, pensiamo più a quel che la squadra può mettere in campo che a quel che sta facendo vedere: insomma, per chi spera nel bis del Titolo del 1975 sono ansie serie e giustificate.

Houston Rockets (2) – Los Angeles Clippers (3). LA guida 2-1. Mi perdonerete se come prima cosa cito la terna arbitrale: Goble-Mauer-Guthrie…ops, non c’è Joey l’Elmetto, e Houston tira meno della metà dei liberi di gara2 (31) e solo 8 più dei Clippers (23). Partita senza storia, rimpolpata dal rientro di Paul, positivo in particolare all’inizio quando nutre ben bene Blake Griffin: è un dato importante, perchè preserva la fatica di Blake, non obbligato solo a costruirsi tiri, ma agevolato anche dagli assists del compagno. Grande gara di JJ Redick, 31 pti divisi 16+15 tra le due metà, e di Austin Rivers, che si fa perdonare la palla persa ridicola e la brutta prestazione generale di gara2, confermando al contempo di non essere un pg, ma una sg. Nei Rockets le due stelle hanno accumulato discreti numeri (14+14 per DH, 25 con 11 assits per Harden) che però non riflettono il nullo impatto avuto sul match. L’impressione è quella di una globale superiorità dei Clippers nella serie, ma LA farà bene a non scherzare troppo perchè si è visto quanto conti il fattore campo di Houston, senza dimenticare che coach McHale continua a giocare senza il 40% del suo quintetto base, essendo out sia Beverley che Motieiunas.