Secondo atto delle finali dell’ovest, i Thunder possono tornare in Oklahoma avendo ribaltato il fattore campo, che considerato l’avversario è già un risultato più che desiderabile.

Vediamo come è arrivato il pareggio dei campioni.

ORACLE ARENA, OAKLAND. OKLAHOMA CITY THUNDER 91 – GOLDEN STATE WARRIORS 118. 1-1

Avendo visto la prima gara, ed i primi due quarti della seconda, non avrei immaginato di dover raccontare una partita finita al terzo quarto. L’inizio degli splash brothers è piuttosto silenzioso, gli Warriors sono parzialmente inceppati, o meglio non illuminati come al solito, si aggrappano ad un sontuoso Iguodala, ad una grande anche se imperfetta difesa, e nonostante KD scriva 23 all’intervallo, riescono ad andare a riposo sul 57-49. L’energia e l’elettricità della gara non è la stessa di gara uno, i campioni appaiono leggermente superficiali, gli sfidanti meno tosti rispetto al primo atto. Continuiamo comunque ad avere l’impressione che finché si gioca un basket normale, questa serie si gioca, nel momento in cui avvengono cose che vanno al di fuori della normalità una delle due squadre scappa. Avendo quel numero 30, è chiaro che Golden State sia avvantaggiata in questo. Abbiamo parlato di ciò che esula dalla normalità… Che ve ne pare di 17 punti in 4 minuti? Ad accendere la miccia dell’MVP sono Westbrook e Durant, il primo lo dimentica in uscita da un blocco (suicidio), il secondo commette fallo su di lui oltre l’arco lasciandogli anche il quarto libero per un fallo tecnico. Con queste due azioni Curry, che sembrava sonnecchiare fino a quel momento, prende fuoco, infila altre due bombe, 3 se calcoliamo un long two, e riporta la sua squadra a girare nella maniera migliore. Finito lo show del fenomeno, la partita di fatto non esiste più. Una volta a regime, gli Warriors sono capaci di mantenere una ventina di punti di vantaggio col pilota automatico. I Thunder abbozzano un tentativo di rimonta, prontamente abortito schiantandosi contro la difesa dei padroni di casa. Abbandonare la partita non significa inchinarsi o perdere le speranze, la scelta di Donovan, a mio parere intelligente, è quella di non uccidersi ad inseguire una rimonta in casa di chi non ha mai perso avendo 20 punti di vantaggio, e tornare a casa per giocarsela diversamente. Tutti si aspettano che momenti come quello decisivo di questa notte, possano arrivare anche da altri interpreti. In gara uno era stato Westbrook ad illuminarla, ovviamente spalmando il suo bottino su tutta la ripresa, in questa sono bastati 5 minuti di Steph a tutto gas per stravolgere la partita; Kevin, Klay, la prossima dovrebbe essere vostra. 16 con 12 assist per Westbrook, che come tutti non ha più spinto dal terzo quarto in poi, ma che anche prima non è sembrato la stessa bestia di due giorni fa. 29 per Durant, ma soltanto 6 nella ripresa, se fosse riuscito a dare seguito ad un secondo quarto favoloso forse parleremmo di una partita diversa. Waiters che era stato pulito e controllato nel primo atto, tira troppo e male, difende poco e peggio, tornando a flagellare i suoi con la “grandine sulle vigne. 28 per Steph veramente attivo solo per quegli ormai famosi ed epici 5 minuti, 15 per Thompson silenzioso, e 14 per l’ultimo MVP delle finali, splendido nel momento più difficile dei suoi. Oltre alle singole prestazioni, il sistema degli Warriors, che sembrava vacillare, pare stia ripartendo, tutti i terminali offensivi degli Warriors vanno in doppia cifra. Al termine lo stesso Curry rassicura sulle condizioni del suo gomito, che aveva subito un colpo durante un volo in terza fila nel tentativo di recuperare un pallone; sì, 17 in 4 minuti con un gomito ammaccato e gonfio…Steph gonna Steph.

Appuntamento a Sabato notte ad Oklahoma City, sperando che nessuno la uccida o si faccia uccidere prima del tempo, per una serie che appare ancora equilibratissima e godibile.