Pochi posti per tanti giocatori: lo spot di sg titolare nella NBA ha solo 5 o 6 luoghi adatti a vincere anno per anno, ed alcune grandi guardie rimangono…fregate.

L’inizio della carriera cestistica di Zach LaVine è una storia di padri: il suo, Paul, e quello del suo compagno di squadra a UCLA, Bryce Alford, figlio di Steve.

Papà era stato un onesto giocatore di football americano: college a Utah State, USFL a Portland, NFL a Seattle, sempre per breve tempo. La parentesi di Seattle era stata molto più dolce: Paul si era sposato e aveva preso la decisione di mettere radici nello stato di Washington. Il cuore di nativo californiano, però, non aveva mai smesso di pompare, in particolare per i colori azzurro ed oro di UCLA. La passione passò al primo figlio della coppia: Zach, che, nel frattempo, divenuto prospetto di valore nazionale non nel football ma nel basket, decise di promettersi a UCLA. La promessa venne mantenuta anche quando il coach di UCLA fu licenziato per far posto a Steve Alford, che da giocatore era stato una Stella a livello NCAA (Indiana, coach Bobby Kight) e un fallimento nella NBA. Papà Alford portava con sé anche il figlio Bryce, destinando la posizione di pg al proprio rampollo. I non facili rapporti tra Zach (e suo padre) con coach Alford nell’unico anno a UCLA nascono da quella “invasione” del ruolo che, nelle intenzioni del coach precedente (Benny Howland), sarebbe dovuto spettare a LaVine. La fine di stagione, soprattutto, fu assai negativa, ed influenzò il numero di scelta al Draft: la chiamata al numero 13 era almeno di 5 o 6 numeri peggiore rispetto alle posizioni in cui Zach era stato pronosticato per quasi tutto l’anno. Il salto nella NBA non causò problemi, tuttavia. Mai sotto ai 24 mins di impiego nell’anno da rookie: significa avere stoffa, anche se in una squadra debolissima come i T’Wolves. Oggi LaVine è uno dei giocatori NBA che si trovano nella posizione appena un gradino sotto l’empireo: non soltanto “buoni” ma nemmeno “primissimo livello”. Questo è dovuto, in parte, anche al fatto di non aver avuto la possibilità di giocare in squadre vincenti. La (non immaginata) discontinuità di LaVine, le percentuali di tiro ballerine, la difesa non proprio impegnatissima: quanto sono reali e quanto dipendono dal fatto di non aver nulla di elevato per cui giocare? E’ un giocatore che, nel ruolo di sg, garantisce multidimensione assoluta: parliamo di uno che sa volare (2 volte Campione della Gara delle Schiacciate) e che, contemporaneamente, tira col 40% da 3 (39.8 in questa stagione). Inoltre ha del tutto recuperato dalla rottura del crociato sinistro: nelle due stagioni coinvolte da infortunio/recupero ha giocato in totale solo 71 gare, ma per le restanti 3 stagioni è andato in campo in 222 partite su 246, e in questa è 47/47. Nei due anni pieni ai Bulls ha messo insieme 23.75 + 4.5 + 4.2, con il 38.5% da 3. E’ uno dei pochi Bulls degli ultimi 20 anni a non sfigurare al cospetto della statua che accoglie chi si avvicina allo United Center e onestamente: merita una franchigia molto più forte.