Per inquadrare la Kyrie-to-Mavs-trade è meglio iniziare da Spencer Dinwiddie, la controparte finita a BKN.

Non è un giocatore banale, anche se non forte come lui si ritiene: professional scorer che nell’ottantina di gare giocate al fianco di Doncic ha tirato oltre il 40% da 3; tipo interessante, anche: nel percorso che lo portò FUORI dai Nets quando arrivò Irving (c’è anche questo risvolto-gag nella Kyrie-trade) propose in FA un azionariato popolare sul suo contratto, per andare dove i fans lo avrebbero pagato di più: ovviamente la NBA lo sconsigliò di solo pensare ancora una cosa del genere.

Il punto tecnico principale è che né Dinwiddie né Kyrie sono dei 2, ma Spencer può adattarvisi meglio, per questioni tecniche e di indole. Il punto ambientale è che, da venerdì, Luka Doncic sarà chiamato a uno sforzo ulteriore di maturità, intelligenza, devozione alla franchigia: non un lavoro semplice né scontato. L’ingombro di Irving non è piccolo. Non è un vincente, non costa poco, non è un soggetto che unisca il locker. Secondo il principio “excusatio non petita, accusatio manifesta” Jason Kidd, coach Mavs, ha subito affermato che Kyrie in realtà “vuole essere allenato”. Marc Cuban, owner dei Mavs e altro tipo particolare, ha inquadrato la trade nella cornice “aiutare Luka” e “dare riposo a Luka”: sicuramente vero, ma c’è altro. Doncic ha già una extension pronta dopo che il rookie-contract scadrà quest’anno: ma esattamente come ci sono franchigie disposte a dare 37 MM$$ a Kyrie, ne trovate tante (tutte) pronte a dare i 44.5 MM che mediamente Luka chiama fino al 2027. L’arrivo di Irving quindi nasconde la copertura per una futura possibile partenza di Luka. Contemporaneamente, infatti, Irving è in scadenza e ha dichiarato, pre-annuncio dello scambio, che la sua futura destinazione (qualunque fosse stata) non avrebbe dovuto preoccuparsi: lui non avrebbe chiesto rinnovi a cifre superiori alle attuali né di essere lasciato andare. A parte la non blindata affidabilità delle parole del soggetto, sono anche dichiarazioni che non violano le complicate regole della NBA sui trasferimenti, ma nemmeno si sposano alla perfezione con lo spirito di tali regole.

La fotografia della Kyrie-trade (quarta trade in 12 anni, mai rimasto due contratti nello stesso posto, anche questo è importante per classificare il giocatore) è dunque più complessa del mero domandarsi: potranno convivere? Infatti anche i Nets sono in agitazione. Non è certa la permanenza di KD (1), sono in molti a interessarsi in questo momento a Claxton (2), a BKN nessuno ne vuole più da Ben Simmons (3): tutti dati che potrebbero disegnare una nuova (inutile?) rivoluzione in casa Nets, coinvolgendo elementi secondari ma anche AllStar come Jaylen Brown. Rimanendo al punto tecnico: deve pensarci Luka. Tutto dipende dallo Sloveno: è lui l’alfa e lui dovrà adattarsi, per assurdo che possa sembrare. Kyrie infatti, talento di primo livello in mentalità da rivedere, non cambierà.

Per completare il discorso, uno sguardo ai due filler dello scambio: a DAL arriva –Kieff Morris (quindi nessuno) e invece BKN si prende un ottimo 3-and-D come Finney-Smith + una prima scelta (2029) e due seconde (‘27, ‘29). I Nets non perdono la trade, mettiamola così, e il GM di DAL, Harrison, ex sviluppatore del prodotto-Kyrie alla Nike e dunque legato al giocatore, deve sperare che le cose vadano davvero benissimo da ora in poi per i Mavs, sul campo. Intanto, sul ruolino dei pagamenti, i Texani totalizzano un complessivo aggravio di 28 MM$$, che li rende la sesta franchigia più costosa, mentre una classifica all-NBA li vede tra undicesimo e dodicesimo posto, oggi.