Nel Martin Luther King Day, molte matinées NBA, per un totale di 13 partite: una delle notizie più eclatanti è che, contro una New Orleans priva di Davis e Holiday, i Knicks tornano a vincere.

TIME WARNER CABLE ARENA: MINNESOTA T’WOLVES 80 – CHARLOTTE HORNETS 105
Stavolta gli Hornets sono andati agevolmente oltre quota 100, e hanno tirato bene, addirittura benissimo da 3 (54.5%). Scendendo in campo, ma ancora per pochi giorni, senza il loro leader Kemba Walker, gli uomini di coach Clifford ritrovavano però dopo un mese BigAl (8+5), e hanno preferito mettere subito a tacere le eventuali velleità dei T’wolves, che sono stati sotto anche di 31. Avendo subito indirizzato a loro vantaggio la gara, i Calabroni sono potuti scendere in campo quasi tutti (solo Maxiell non ha vosto campo) e gestire con comodità minuti e riposi. La gara più roboante l‘ha messa insieme l’energetico Marvin Williams, uno che tira poco ma salta molto e spesso e bene (4+11). Per Minnesota hanno giocato tutti col silenziatore ( Wiggins 3/14, Mo Williams 3/13) e alla fine solo Young ha portato cifre degne di essere ricordate (18-4-2 per l’ex Sixer).

VERIZON CENTER, WASHINGTON: PHILADELPHIA 76ERS 76 – WASHINGTON WIZARDS 111
Altra partita in cui la favorita ha messo subito le cose in chiaro e condotto in porto una W in assoluta rilassatezza, con attenzione al riposo dei migliori. Per Washington sono stati 7 gli uomini in doppia cifra, e il maglio è venuto dai due centri, con Seraphin (14+9) che, con ottime prestazioni dalla panchina, sta motivando anche Gortat (20+8) a rendere sempre di più onde conservare il posto in quintetto. Da un paio di partite Wall e Beal non stanno tirando bene, ma per ora non ci sono state conseguenze per coach Wittman. Di Philadelphia si seguono con interesse MCW e Noel, con il primo che sta confermando le attese e il secondo che le sta un po’ tradendo, perso tra l’impiego da centro o quello da pf. Stavolta, tuttavia, proprio il prodotto di Kentucky U. è stato il migliore tra i Sixers, con 11-7-3, e 4 recuperi.

PHILIPS ARENA, ATLANTA: DETROIT PISTONS 82 – ATLANTA HAWKS 93
Questo è un classico della Central Division, e nel giorno del Martin Luther King Day era vestito di una luce particolare per il fatto di svolgersi ad Atlanta, città simbolica della borghesia nera e teatro di molte delle azioni del Reverendo. Inoltre era un confronto tra la prima e la terza squadra della NBA nelle ultime 15-18 partite. I Pistons hanno lottato a lungo prima di soccombere, sono stati spesso sotto anche di una decina di punti, ma hanno sempre recuperato, accorciato, fino allo strappo finale degli Hawks negli ultimi 3 minuti. I Pistons hanno tratto gran parte dell’efficacia della loro lotta da una nettissima supremazia a rimbalzo (+19 nel saldo totale, 20 offensivi contro i 5 di Atlanta), trovando un’altra gara in cui Monroe (16+20) e Drummond (13+18) hanno preso più rimbalzi di quanti punti abbiano segnato. Purtroppo la difesa Hawks ha stritolato le guardie, che hanno terminato la gara con magri bottini e percentuali scadenti. Atlanta ha avuto tantissimo attacco da Mike Scott (20+5) e Paul Millsap (20+7), molto in difesa da Teague, Carroll e Schoeder, che però hanno avuto percentuali non brillanti (7/27 combinato), e un Korver da 13pti, costante nel suo 50% al tiro, corredato da 6 rimbalzi e 5 assists. Solitaria e difficile, ma saggia, la partita di Horford (14-6-7): preso in mezzo dai lunghi di Detroit ha saputo tirare con discernimento e servire molti piatti fumanti ai compagni.

STAPLES CENTER, LA: BOSTON CELTICS 93 – LA CLIPPERS 102
Una W non difficile per i Clippers, e al contempo non una sconfitta tragica per i Celtics, che hanno avuto buone risposte da almeno 4 dei 5 uomini che potrebbero essere pezzi del processo di ricostruzione. In particolare ottima la gara di Marcus Smart (14-2-7), che ha vinto il confronto diretto contro CP3 (9-6-6), dimostrandosi ancora una volta un rookie che ha qualcosa da insegnare a molti pro affermati, almeno in tema di difesa e impatto sulla gara. Disastroso invece, come spesso gli capita, Avery Bradley (3-0-0. 1/7 al tiro e 2 perse…): contro di lui, che nella vulgata NBA passa per essere un gran difensore, JJ Redick ha pasteggiato comodo e in abbondanza. Detto delle difficoltà di Paul, il migliore dei Clippers è risultato DAJ (19+12 con 6 stoppate). Ha fatto il suo debutto in bianco verde Tayshaun Prince, e ha segnato il suo primo canestro in casa Austin Rivers, l’altro giocatore coinvolto nella trade che ha portato Jeff Green a Memphis.

ORACLE ARENA, OAKLAND: DENVER NUGGETS 79 – GS WARRIORS 122
Circa un mese addietro un blogger italiano scrisse, nella propria scheda di presentazione, tra le ultime volontà, quella di essere tumulato, giunta la fatal ora, nella Oracle Arena. Difficile dargli torto: per chi ama il gioco del basket è un posto molto simile al Paradiso. Steve Kerr ripete spesso nei sui timeouts “share the ball” e i suoi gli danno retta, aggiungendo all’esecuzione tattica un tocco estetico che poche volte si vede su un parquet. Spettatori non paganti i Nuggets, in cui, di nuovo, solo le pg Lawson (19-1-6) e Nelson (14-2-5) hanno giocato decentemente. Dato che potrebbe sembrare di parte segnalare sempre prestazioni singole e sempre degli stessi, cito alcuni brani dallo score di squadra di Golden State, rispettoso lettore come lo sarei di un sonetto di Shakespeare: 43pti di scarto finale, 30 canestri assistiti su 44, 48% da 3 e 54% totale.

FEDEX FORUM, MEMPHIS: DALLAS MAVS 103 – MEMPHIS GRIZZLIES 95
Coaches sopraffini nello scontro tra Dallas e Memphis, e Mavs che scappano via subito grazie a 6 centri sulle prime 10 triple tentate. Lenta rimonta dei Grizzlies, trascinati in modo particolare da Randolph (18+15), e pareggio a metà del quarto periodo, nonostante percentuali brutte soprattutto da 3. Nel finale emerge la ditta Monta&Dirk, col Tedesco (21+6 e un gioco da 4pti) che infila 6 punti pesantissimi (e lo fa anche prendendosi tiri difficili, con quel suo miracoloso fade-away su una gamba sola). Ellis invece si dedica a segnare e anche a passare la palla, scrivendo 25pti e 7ass, in una serata in cui Devin Harris (12-5-3) è stato preferito lungamente a RR (6-3-1), che, ancora prima di accusare qualche acciacco, era in una di quelle sue lune particolari, in cui si toglie da solo per gran parte del tempo dal gioco. Queste sfide di alta classifica della Western Conference sono autentiche battaglie di Titani, in cui poco incide il fattore campo: ora Dallas è quinta, ma ha una sola sconfitta di distacco da Memphis, terza, e tra la seconda (Blazers) e la sesta (Clippers) ci sono solo 3 sconfitte di differenza (11 vs 14).

TOYOTA CENTER, HOUSTON: INDIANA PACERS 98 – HOUSTON ROCKETS 110
No Contest. Nessuno poteva fermare James Harden (45pti in 40 minuti con 18…avete letto bene: 18 tiri dal campo e 14/15 ai liberi). Nessuno poteva fermare Howard (14+17) che ha ridicolizzato Hibbert (12+4) e, anche se in maniera meno evidente, Mahinmi (9+14). Nessun terzo o quarto violino è emerso in tempo a pareggiare le prestazioni di Brewer (13pti) o del Lituano (10-9-4, grande stagione: ha buttato le mollezze del passato e, anzi, ha resistito e metabolizzato alla grande l’arrivo di Josh Smith, perdendo prima tiri, poi il quintetto e infine riconquistandoli). Alla fine ultimo quarto di recupero-decenza per i Pacers, che assestano lo scarto e le stats. Segnalazione per CJ Miles (23-6-2).

MADISON SQUARE GARDEN, NY CITY: NO PELICANS 92 – NY KNICKS 99
Vero, I Pelicans senza Davis e Holiday perdono il 60% della loro efficacia, ma questa contro I Knicks resta una bruttissima sconfitta per le loro speranze, già flebili, di accedere alla post-season. In pratica rimaneva solo Tyreke Evans, che infatti ha cercato di dare il massimo, ma non è bastato contro New York. I Knicks avevano infatti chiaramente individuato in NO la squadra contro cui interrompere la loro striscia di L a quita 16, e si sono tutti impegnati più del consueto. Melo per grandi tratti di aprtita ha giocato da solo, ma a lui fai un favore se lo metti a giocare i queste situazioni, dove può essere il padrone assoluto e inventare come gli pare. Alla fine epr lui 24-9-3, con grande aiuto di Galloway (21-5-3) anche se la giocata dei chiodi nella bara è stata la tripla (unica su 5) di Calderon per il 96-92 dopo che Evans aveva miracoleggiato per riportare i suoi a -1. A proposito di Galloway, è un piccoletto stile Beverley: molta meno difesa ma neppure lui considera minimamente di essere meno di 190cm e anzi, se lo lasciassero fare si metterebbe sempre in post basso. In ogni caso, pur non essendo mai stato scelto, non è un giocatore banale: nel 2014, all’ultimo dei suoi 4 anni a St. Joseph, è entrato nel primo quintetto della Atlantic10: sempre stato nella D-League alla succursale di NY (i Westchester Knicks), è al secondo decadale firmato con la franchigia di Phil Jackson, e chissà che non resista.

QUICKEN LOANS ARENA, CLEVELAND: CHICAGO BULLS 94 – CLEVELAND CAVS 108
Entrando nel quarto finale con 22 punti di vantaggio LBJ (26-5-4) e Love (16+12) avevano di fronte quasi tutte le seconde linee di Chicago, segno che Thibodeau aveva già incassato la sconfitta. Il coach dei Bulls, noto per l’impostazione difensiva delle sue squadre, sarà preoccupato dal fatto che la sua sia solo la 15’ difesa della NBA, con più di 99 punti subiti, quando nelle ultime 4 stagioni non era mai andata peggio del terzo posto e dei 93 punti. Bisogna dare credito a quanti vedevano, tra gli analisti, un brutto segnale nella brillante media-stoppate di Gasol, asserendo che il back-court non lavorava più come nelle precedenti stagioni e concedeva troppe penetrazioni agli esterni avversari. In questi dati bisogna inserire anche, ovviamente, le molte partite che Noah sta saltando e quelle in cui, non poche nemmeno queste, è sceso in campo non al massimo della salute. In ogni caso i Cavs hanno aggredito da subito la partita, con LeBron e Kyrie (18-4-12) molto incisivi in avvicinamento, e Love positivo negli intangibles. Se aggiungete che Mozgov (15+15) ha giocato al sua migliore da quando è a Cleveland, avrete il quadro di questa facile vittoria di Blatt e dei suoi. Il quintetto dei Bulls ha tirato 19/58, e allora a poco è servita la buona mira di Brooks (5/9, 16pti) e Snell (5/8, 12pti) dalla panchina; da segnalare la buona stagione da Cavalier di JR Smith, più in controllo di quando era ai Knicks, con evidenti vantaggi in termini di produzione e percentuali dal campo (stasera 20 con 6/9 da 3).

BRADLEY CENTER, MILWAUKEE: TORONTO RAPTORS 92 – MILWAUKEE BUCKS 89
Forse la più bella per incertezza ed emozioni in questo MLK Day. Gli ultimi 3 minuti sono quelli decisivi, dopo una gara sempre sul filo. Prima i Bucks perdono un pallone molto importante che costa loro il -5. Difendono bene per riportarsi a un solo possesso pieno, e arrivano a -1 con Knight (20-5-5), dimenticandosi puerilmente però di Terrence Ross (16-5-1) che vola da solo in contropiede per riportare a +3 i Raptors. Di nuovo bell’attacco dei Bucks, seguito da difesa fenomenale: nell’occasione, purtroppo per Milwaukee, altrettanto pregevole, anche se sempre al limite dell’intercetto, la circolazione di Toronto, che trova di nuovo Ross in angolo…finta da 3, palleggio-arresto-tiro da 5 metri…canestro. Knight sbaglia una tripla aperta e Lowry (insufficiente: 8/25 dal campo e 1/4 in lunetta) subisce fallo, ma sbaglia entrambi i liberi. Mancano 5 secondi, Mayo (13-4-3) avanza in palleggio nel traffico, fa per tirare un runner da una dozzina di metri ma la palla gli viene sporcata. Fallo? Forse sì, ma non per i grigi. Toronto la porta a casa, ed è molto importante perché i Canadesi non attraversano un momento eccellente, nonostante il ritorno di DeRozan (0/9), peraltro giustamente fuori nei minuti finali a vantaggio di Lou Williams (15-2-2 con 4 recuperi, tra cui quello decisivo ricordato sopra).

MODA CENTER, PORTLAND: SACRAMENTO KINGS 94 – PORTLAND TRAILBLAZERS 98
A due minuti dalla fine del primo quarto i Kings erano sopra 31 – 20. La lieve flessione che è costata il – 8 alla prima sirena è stata il segno della piega della partita, con Sacramento a proteggere il gruzzolo accumulato, e Portland ad eroderlo, a ricadere a -11, a rimontare di nuovo e sorpassare con Batum a 5 minuti dalla sirena finale, inesorabilmente. Come contro Dallas, anche contro i Blazers DMC (22+19 con 4 stoppate annullate da 5 perse) non ha giocato i minuti finali in quanto fouled out. Dall’altra parte invece c’era Mr. Clutch, al secolo Damian Lillard 22-6-5), uomo dei finali: stavolta nell’azione decisiva ha spezzato il raddoppio ed è entrato centralmente nel pitturato, staccando poco dopo la linea della carità e andando a schiacciare tutta la rabbia di una partita spesa ad inseguire. Sacramento ha giocato una buona gara contro una delle best in the West, ma senza il suo uomo-chiave non è una squadra affidabile in attacco, e spende spesso molte (troppe) energie a protestare coi grigi (vale per tutti, giocatori e staff). Oltre a Lillard una citazione andrebbe fatta per la panchina dei Blazers, impegnata a compensare l’assenza dal campo, dal secondo quarto, di LMA, infortunatosi, ma pare non gravemente, ad una mano: 37+17 la produzione del pino della squadra di casa.

TALKING STICK RESORT ARENA, PHOENIX: LA LAKERS 100 – PHOENIX SUNS 115
Kobe? Riposo. Allora se la versione Kobeless dei Lakers, non baciata da particolare talento, si mette nel secondo tempo a perdere gran parte dei 23 turnovers finali, vincere è pura utopia. Inoltre i palloni buttati alimentano il contropiede di Phoenix, squadra assolutamente votata alla corsa. Nel 51 pari del primo tempo c’è tutto il positivo di LA in questa gara, perché la concentrazione resta negli spogliatoi, dando il via libera a Dragic (24-9-6) e Thomas (24 con 9/12 dal campo e 5 recuperi). Fino a che è durata, bene per i Lakers Ed Davis (8+11) e Nick Young (24pti), benino J-Lin (10+10ass, ma la leadership non abita a casa sua). Solo 7 minuti per Miles Plumlee, cui l’arrivo di Brendan Wright ha tolto tutto lo spazio: probabile trade in arrivo.