Pur non esattamente aderenti al tipo dell’uomo medio, altre NYPG hanno avuto una evoluzione di carriera abbastanza convenzionale, per quanto possa valere questo termine.

Sono giocatori che ce l’hanno fatta spesso alla grande nella NBA.

KENNY ANDERSON. Queens. High School ad Archibishop Molloy, un must. 4 volte American AllStar della rivista Parade, il solo altro ad esserlo stato: Lew Alcindor/Kareem Abdul Jabbar. Sangue blu come pochi altri, nel novero delle guardie di NY: detentore per 18 anni del record di punti nella storia delle HS della città; lo ottenne pur venendo panchinato dal suo coach nei primi quarti per tutto quell’anno (il suo primo). Poi Georgia Tech e poi i Nets. Un certo calo, dalle attese degli anni di liceo e di università ai reali risultati nella NBA, pur egregi. Piano piano, dopo il suo ritiro, emersero particolari spesso agghiaccianti riguardo la vita che dovette sopportare. Non solo cresciuto in povertà dalla sola madre (il padre si fece vivo solo quando cominciarono a profumare i dollari), non solo qualche problema di droga quasi obbligatorio: anche la rivelazione di essere stato oggetto di abuso sessuale da parte di due diverse persone quando era ragazzino. Tanti figli, otto, e tante le loro madri, cinque; tanti soldi guadagnati e tanti persi (bancarotta nel 2005), un lavoro da coach di high school da cui fu licenziato dopo esser stato arrestato per guida sotto effetto di stupefacenti, 6 anni fa; attacco di cuore lo scorso Febbraio. New York City life.

STEPHON MARBURY. Brooklyn. Anche lui ha ottenuto meno di quel che si poteva pensare nella NBA, soprattutto causa caratteraccio. Però risponde perfettamente al concetto di Re. Lincoln High, poi sulle tracce di Kenny a Georgia Tech, e poi la NBA con i Minnesota Timberwolves, che divennero una sede di pura poesia per gli amanti del basket: Marbury e Kevin Garnett insieme. Dopo il Minnesota, la carriera bordeggia New York con l’approdo ai Nets, dove Stephon comanda una squadra che merita di restare nella storia: Keith Van Horn, Stephen Jackson, Kenyon Martin…come fai a contenere in un locker tanta personalità? Infine arriva proprio a NY, ma è un passaggio carico di nervosismo e vicende extra basket, per esempio il processo vs Isaiah Thomas. Il suo destino di essere un Re ha due momenti di completa realizzazione. Il primo è attuale: gioca ancora, in Cina, dove, essenzialmente, il basket è LUI. L’altro sono i minuti finali dello ASG 2003, partita vera in cui guida l’Est ad una rimonta da cineteca, che tutti ricordiamo, e so che avete i miei stessi brividi a ripensarci.

MARK JACKSON. Brooklyn. Anche lui, che ha avuto una carriera davvero notevole nella NBA sia da allenatore che da giocatore, può dirsi però un underachiever. Ha ottenuto un po’ meno di quel che avrebbe potuto, spesso mancando il successo per un nonnulla. Basti pensare che Steph lo ha scelto lui, poi Kerr ne ha tratto meritati Anelli. New York incisa nelle carni di questa pg: carni non è casuale perché non è mai stato uno supersmilzo, ma dal suo leggero (inizialmente…) eccesso di peso si aveva anche la discreta certezza che non si facesse di qualsiasi cosa. HS a Bishop Loughlin, college a St. John’s, prima squadra NBA i Knicks. Che volere di più da un newyorker? I suoi 185 cm per 83 kg (inizialmente…) erano retti da una capacità di vedere il gioco davvero unica, che Marbury e Anderson si sarebbero sognati. Padrone di NY e dei Knicks tra fine 80’s e inizio 90’s, in versioni di non scarso lignaggio, si rilassò un po’ troppo sul trono. Presentatosi in condizione inaccettabile (rimbalzava più lui della palla) per il 91/92 dopo un rinnovo contrattuale, ebbe stagione penosa e litigiosa. Insidiato da Rod Strickland, privato del suo coach Pitino, polemico col nuovo coach Stu Jackson. A proposito di Strickland: un aneddoto buffiano lo ha reso famoso per essere colui che mandava il dodicesimo a comprargli cheesburger che mangiava durante il match…vero, ma aveva imparato l’usanza da Mark. Nei PO di quella stagione subì l’onta di esser panchinato full-time nella decisiva Gara5 vs Boston. I Knicks senza lui passarono il turno: era la fine della permanenza al MSG del newyorker più newyorker dai tempi di The Hawk. Ha avuto grandi momenti ad Indiana, e una bella carriera da coach, ma ora forma una coppia di commentatori ESPN davvero prodigiosa con un altro figlio di NY: coach Jeff VanGundy.

BRIAN WINTERS. Rockaway. L’unico bianco della trilogia. Lasciò la città dopo la HS, che era la classicissima Archibishop Molloy. La sua carriera NBA quasi tutta a Milwaukee dopo esser stato scelto dai Lakers. Vinto il riconoscimento del primo quintetto AllRookies nel ’75, lasciò L.A., sapete perché? Fu uno dei pezzi che i Bucks esigettero come parte della trade che portò in California Kareem Abdul Jabbar. Era troppo forte per non essere notato, e fu così che non vinse almeno due Anelli coi Gialloviola. E’ uno mai ricordato, ma è stato due volte AllStar (’76 e ’78). Tiro e cattiveria agonistica, ovvero le caratteristiche che principalmente deve possedere un bianchetto che si trovi a nascere in città e sia costretto a farsi largo e guadagnarsi il rispetto dei fratelli sul campo e sul campetto. La sua card di quando era in maglia Lakers vale moltissimo nel mercato delle figurine, a dispetto della faccia che sembra la foto segnaletica di Charles Manson.

ROGER BROWN. Brooklyn. I pick-up games a BKN tra fine 50’s e primi 60’s non dovevano essere male. La rivalità più accesa separava The Hawk e questo, meno conosciuto, giocatore. In un playoff di HS nel 1960 Brown ne realizzò 37 in faccia ad Hawkins, e fu solo l’occasione più eclatante tra quelle regolari. Al campetto nessuno poteva trattenerlo dal realizzare canestro. Dopo Canestro. Dopo canestro. E’ legato ad Hawkins anche da altro: lui e Il Falco furono coinvolti con l’allibratore Jack Molinas, per il quale fin dalla HS facevano la barba ai punti, controllando gli scarti finali delle partite. Perché sei a NY, perché è il 1959, o il 1961, perché sei nero e già è molto non essere morto, infine perché se sai segnare quando vuoi, puoi anche smettere quando vuoi, a seconda di quel che serve a Shavin’ Jack. Brown fu bannato sia dalla NCAA che dalla NBA. Niente paura: giocò, prima dell’unificazione delle due leghe, nella ABA, fu ptrotagonista dei 3 titoli di Indiana, più la nomina a miglior giocatore dei PO nel 1970. Dopo il basket divenne un politico, morì a 55 anni di cancro nel 1986. The Hawk era al funerale.