I Golden State Warriors hanno battuto i Cavs a Cleveland, e diventano Campioni NBA chiudendo la serie 4-2.

Dopo ogni chiusura delle NBA Finals sono sempre 3 le costanti di cui parlare, oltre alla cronaca della partita decisiva.

1- La Nostalgia. E’ appena finita eppure la NBA già mi manca. Abbiamo però il Draft da seguire (prestissimo il mio ultimo Mock prima della Draft Night) e tempo una ventina di giorni inizierà la Summer League, prima ad Orlando poi a Las Vegas, con tanti giocatori, anche ben conosciuti in Italia o da velocemente importare nel nostro Campionato, da osservare.

2- Vincitori e Sconfitti. La gioia degli Warriors è quella di chi ancora non aveva vinto nulla individualmente, e anche quella di una franchigia che aveva vinto un titolo esattamente 40 anni orsono. In termini cestistici significa che almeno 4 ere geologiche son passate da allora. La fusione NBA-ABA era distante 3 anni, Bird e Magic 5, MJ quasi 10, Kobe e il Timoteo il Caraibico più di 20. La delusione dei Cavs è quella di chi ha sfiorato per la seconda volta il Titolo, mancando la gioia di annoverarsi tra le 43 città americane che son diventate campioni in uno degli sport pro. Gli Warriors dovranno consolidarsi per il futuro, e intanto perderanno un pezzo non secondario della loro organizzazione: Alvin Gentry lascia GS per andare ad allenare i Pelicans del futuro MVP Anthony Davis. Ricordare che Steve Kerr era un rookie come head coach non sminuisce i meriti dell’ex Arizona, ma sottolinea che l’esperto Gentry ha avuto un ruolo centrale nel Titolo vinto dai Californiani. Ora, pur nel pieno della festa, nella Bay Area avranno di certo ben presente che la svolta nelle Finals si è avuta quando è stato progressivamente ridotto (fino alla panchina totale) il minutaggio del centrone Bogut, per privilegiare quintetti da smallball estremo (D-Green da centro): l’individuazione di un centro mobile, dinamico, atletico, e, perchè no, non eccessivamente ingombrante, potrebbe essere la linea guida principale per i movimenti del management di GS, a cominciare dal Draft. Altra cosa su cui prendere adeguate misure è la questione contratti in scadenza: nella prossima estate scadranno sia Gemello Klay che D-Green, i quali nel 2015-16 occuperanno, insieme, uno spazio salariale di meno di 6 milioni di $. Ipotizzare che per trattenerli ne serviranno almeno il quadruplo è tutt’altro che fantasia, e a tal proposito potrbbe far comodo destinare altrove per tempo (cosa non facile) i contratti di Lee (15, che però scadono nel 2016 e quindi in contemporanea a Green e Thompson), e Bogut (13, per uno che forse vedrà non più di 20 minuti di campo a partita). I Cavs, invece, non hanno certo nulla da rimproverarsi per la stagione. Hanno azzeccato tutte le mosse, ma sono oggettivamente stati privati di 3/5 del loro quintetto base. Per il resto hanno indovinato tutto: il coach, il ritorno di LBJ (anche se in teoria può uscire dal contratto), la presa di Love (soprattutto se deciderà di restare in Ohio), il recupero di Irving dopo una passata stagione davvero deludente, il sostituto dello sfortunato Varejao (Mozgov ha fatto bene, al netto dei suoi limiti), le trades di metà stagione (JR Smith meglio di Shumpert: anche se hanno faticato entrambi nelle Finals, sono stati buoni protagonisti per tutta la stagione).

3-MVP delle Finals. E’ stato eletto Andre Iguodala, detto Iggy, al suo 11′ anno di NBA, proveniente da Arizona. Detto della superficialità di chi lo definisce un “role Player” (role player è Belinelli, non un giocatore che, pubblica e recentissima dichiarazione di Steve Kerr, era stato retrocesso in panchina solo per aumentare il pregio del gioco di GS, e addirittura era stato fatto riposare apposta, durante l’anno, per averlo fresco a questo punto dell’anno…senza contare che a nessun role player fai un contratto di 12 miioni per 4 anni), il suo MVP è un’ottima notizia per chi vede bene anche le pieghe del basket e non solo le cose più eclatanti. Non mi sarei scandalizzato se fosse stato Steph Curry (avevo nella mente una sua Finale non eccellente da 3 punti, poi scopro che ha tirato col 38%, un dato che fa impallidire le stats da regular season di metà delle guardie titolari della NBA), e ammetto che, personalmente, non mi sarebbe dispiaciuto che fosse andato, davvero contro ogni usanza (un solo precedente: Jerry West), a LBJ. Iggy, però, ha avuto per tutti i playoffs un rapporto assists/palle perse leggermente migliore di 5 : 1 (75 : 14), rapporto sostanzzialmente mantenuto anche nella serie per l’Anello (24 : 5, ma, di queste, 4 tutte nella gara2 persa alla Oracle Arena), aggiungendo, lui che non è mai stato un vero realizzatore, e tantomeno un tiratore, 16.3 punti a partita, con il 40% da 3 (14/35). Nelle considerazioni si inserisce ovviamente la difesa su James. MVP meritatissimo.

La cronaca di gara6, dal canto suo, si sintetizza in uno scambio di parziali (1′ e 3′ quarto +13 e +10 GS; 2′ e 4′ +9 e +4 Cavs) che non faceva altro che sfinire la truppa di Blatt, fino a quando, nel momento del -15 a poco meno di tre minuti dall’ultima sirena, Cleveland aveva uno sctto di ultimo, disperato orgoglio, coincidente con una certa deconcentrazione degli Warriors che stavano già con la testa al Larry O’Brien Trophy. Negli ultimi 170 secondi JR Smith metteva tre triple carpiate impossibili (lui, che matto lo è davvero, infila soprattuto quelle e sbaglia, purtroppo per i Cavs, quelle da libero) per riportare i suoi a -4 con una trentina di secondi sul cronometro. La grande sorpresa non andava però in scena, e il Titolo è del tutto meritato per gli Splash Brothers e i loro compagni.