Recap meno convenzionale del solito, per affrontare tutti gli argomenti che offre la già vorticosa NBA…ed è appena iniziata.

L’excursus sulle gare giocate ci porta ad offrire attenzione per prime alle squadre che, sconfitte stanotte, sono ancora a 0 W in stagione. Philadelphia: si sapeva che avrebbe avuto una stagione difficile anche se gratificata dall’esordio di Ben Simmons e, finalmente, di Embiid. Putroppo Simmons si è fatto male in pre-stagione e i Sixers stanno accumulando ko come al solito, nonostante il buon rendimento di Embiid e Saric, su tutti. Dallas: sta pagando il prezzo che molte volte (per es. i Lakers con Kobe) le franchigie devono sobbarcarsi quando decidono di “morire” insieme ai loro grandi giocatori. Il fine carriera di Nowitzki sarà accompagnato da onori e un buon contratto, ma gli innesti con cui i Mavs hanno cercato di tamponare il declino non stanno rendendo: D-Will, Wes figlio di Wes, Harrison Barnes sono buoni e a volte ottimi giocatori, ma non riescono ad offrire la scintilla che da loro ci si aspettava; aggungete che i Mavs hanno uno dei reparti lunghi meno competitivi della NBA, e troverete il motivo delle 4 Grandi Elle. Se Phila è un caso quasi sclerotizzato nella NBA, e Dallas un caso classico di “declino da devozione”, per Washington (0-3) e Pelicans (0-5) si tratta di un caso di “mamma mia che spreco”. John Wall e Anthony Davis, gli uomini franchigia di Wizards e Nola, meriterebbero ben altri palcoscenici. Nella sconfitta in OT vs Memphis, tuttavia, i colleghi di Davis sembrano essersi un po’ svegliati, perché AD ha avuto una nottata difficile (10+7), ma Buddy Hield, Langston Galloway e Lance il Pazzo hanno scritto 18-18-21 con 21/43 al tiro, e Omer Asik, pur limitandosi a quello, ha preso 11 rimbalzi. Dopo gli zeri, andiamo all’uno: la prima W in stagione dei Suns, ottenuta vs i Blazers che mostrano qualche segno di minor solidità rispetto allo scorso anno.

Nello spazio riservato alle sorprese merita, almeno al momento, il primo posto la squadra meno pronosticabile: i Brooklyn Nets. Tutt’altro che derelitti, hanno preso solo un’imbarcata da -30, hanno un decente record 2-3, e sono primi in città visto che i Knicks hanno vinto finora una sola gara. Secondo noi molto del merito va a Ken Atkinson, che già nel Power Ranking avevamo segnalato come personaggio interessante. E’ un coach alla prima esperienza da capo allenatore in NBA, ma ha esperienza lunga e vasta in Europa da giocatore ed è da tempo selzionatore della nazionale della Repubblica Dominicana: giovane ma non uno sbarbatello insomma, anzi lo assimileremmo ad uno scafato allenatore slavo di Eurolega più che ad un trendissimo e talentuoso nerd-coach alla Brad Stevens. Pare aver toccato i tasti giusti coi giocatori, che lottano sempre e sfornano prestazioni al di fuori della loro portata e capacità usuali. Per esempio: Sean Kilpatrick da Yonkers era stata la nostra scelta come sorpresa stagionale nonostante le nemmeno 40 gare NBA giocate in carriera, ma nemmeno noi ci aspettavamo roba come quella di stasera: 24-10-3 per una guardia da 192 cm vs i Pistons, per aiutare Brook Lopez nel battere i ragazzoni di Detroit. Anche Brook, certo da tutti riconosciuto come uomo-faro e da tutti ritenuto gran giocatore, ha aggiunto grinta e durezza al repertorio (mancavano, e parecchio), ma anche il tiro da 3: stanotte ha segnato 4 triple, ossia tutte quelle che aveva messo dentro in carriera prima della gara di stanotte. In questo si cela e si svela uno dei misteri che a volte troviamo nel basket: che Gemello Brook avesse una gran mano da fuori era evidente da sempre, ma se aveva tirato 31 volte da 3 prima di quest’anno, e ora è 5/15 dopo 5 partite, noi vediamo anche la mano e la voce dell’allenatore che lo fa allenare ad hoc e in allenamento lo prepara alla situazione e quando non tira ferma tutti e dice: Brook, c***o, tira!!! Ci voleva tanto? Forse no, di certo ci voleva coach Atkinson, passaporto anglo-americano con animo balcanico. Dopo di loro, la sorpersa sono i Lakers, vincenti in trasferta ad Atlanta 123-116: la cura di coach Luke Walton prevede poca timidezza al tiro e confermiamo la sua tendenza a spolpare il quintetto per rimpolpare il pino, finora con buoni risultati sulla capacità di mantenere in equilibrio le partite. Stanotte tutti i giocatori compresi tra 16 e 31 minuti, e 6 in doppia cifra. Decisivo Sweet Lou Williams.

La prima parte riservata alla commozione tratta di quella emozionale. Si è ritirato Ray Allen. Sarebbe meglio dire si è ufficialmente ritirato, dal momento che non vedeva campi e jerseys da più di due anni. Quando si ritira un campione del genere si provano sempre gratitudine e commozione, e poi si sbircia il libro dei record: Allen è il primo nella lista all-time dei triplisti, con 2973 canestri da 3 realizzati. Il secondo, Reggie Miller, e più di 400 indietro; il solo attualmente in attività che lo può battere (e lo farà, prima o poi: diciamo in 6 anni) è Steph, ora a 1610. Allen ha ufficializzato il suo addio con una lettera al sé stesso 13enne, relativamente commovente, con non pochi clichès in mezzo, ma interessante nel finale. Quando racconta di essere andato, la mattina dopo l’ultimo Titolo con Miami, incapace di dormire e con la casa piena di amici e famigliari sfasciati dai festeggiamenti sparsi su divani, tappeti, stanze per gli ospiti,…di essere andato dal dentista, ore 8 di mattina, perché c’era ancora un dente da sistemare. Metodico, noiosino, non simpaticissimo. Non entusiasmante come altri campioni, incapace di trascinare milioni di cuori dietro a sé, abbastanza freddo come uomo e giocatore: viene però il dubbio che tale freddezza, sublimata nella dedizione al lavoro quotidiano, sia non la partenza ma l’arrivo. Cioè il punto in cui l’uomo è stato condotto dalla dedizione al proprio sogno: giocare nella NBA, essere un Campione, vincere Titoli. Magari aveva lo spirito di un comico, ma il suo sogno lo ha condotto a mutare. Chissà. Nonostante i Titoli sian giunti con Boston e Miami, secondo noi i suoi anni davvero strabilianti sono stati quelli di Milwaukee, e nemmeno sottovalutiamo la sua performance di attore in He Got Game di Spike Lee. Il suo trasferimento a Miami, lasciando i Celtics, portò i fans biancoverdi a giocare col nome del suo personaggio nel film, che era Jesus, trasformandolo in Judas il traditore.
E a proposito di Celtics ecco commozione parte seconda: cerebrale. Stanotte Boston ha vinto vs i Bulls priva di Al Horford, vittima di concussion per una gran testata con un compagno in allenamento Lunedì. Inizialmente nulla da segnalare, ma alla practice di Martedì il giocatore ha provato nausea e poco equilibrio nei movimenti, obbligando lo staff medico a introdurlo nel famigerato Concussion Protocol, che, giusto ma anche divertente, nel basket è quasi più severo che nella NFL. Il Protocollo è condotto dallo staff medico della squadra, ma monitorato dalla NBA. Non prevede una scadenza temporale fissa, ma una serie di passaggi ed esercizi che il giocatore deve eseguire senza provare nessuno dei sintomi che hanno provocato l’avvio del Protocollo. Sono andato a guardarli, si tratta di: bicicletta/cyclette, corsa indoor, lavoro fisico aerobico di velocità/agilità, basket giocato senza contatti. Se i sintomi (nausea ecc) non si ripetono il giocatore è dichiarato fuori dal Protocollo e può giocare, altrimenti aspetta. Per questo motivo Horford salterà anche la gara di stanotte contro i Cavs, e lo stesso toccherà a Jae Crowder, seria slogatura alla cavgilia, out una settimana.
Segnalare che Bulls e Clippers non avevano una partenza 3-0 da 20 e 8 anni rispettivamente non ha portato bene. Sconfitta Chicago e anche Clippertown, che ha perso in casa con OKC una partita a punteggio bassissimo (85-83) in cui Doc Rivers ha quasi sempre risparmiato a Chris Paul di marcare Russell Westbrook, infliggendo a tutte le altre guardie simile compito. RW ha letteralmente umiliato il back-court dei Clippers, con 35-6-5 (e anche 10 perse, ma stavolta il dato lascia a bocca aperta perché non ha impedito a OKC di vincere): significa che almeno 45 pti della squadra son merito delle sue mani, per le stats. In realtà lo sono tutti e 85. OKC è al comando della Western, unica squadra senza sconfitte insieme ai Cavs. Unica squadra o unico uomo? Il basket è sport di squadra, ok, ma in questo caso il dubbio è legittimo.