Cari followers di Baskettiamo, inzia una rassegna dei giocatori europei che giocano nella NBA.

Senza voler dare giudizi definitivi, e utilizzando spesso un po’ di ironia, esprimeremo la nostra visione di come si stiano comportando questi giocatori, di cui andiamo giustamente fieri, nel campionato di basket più competitivo del mondo. Il plurale ha due riferimenti: Luca Morucci ed Enrico d’Alesio che sono io. Ci siamo amichevolmente spartiti la nutrita tribù europea, senza una linea editoriale precisa. La cosa che però posso dirvi con certezza è che, a volte, non è tutto oro quel che luccica sotto le volte dei Domes, e non è tutto da buttare quel che sembra ormai perso. Iniziamo!

TIMOFEY MOZGOV. Il Russo ha 5 anni e già 3 squadre nella NBA. Classico giocatore bravino ma mai abbastanza. Iniziò a NY, finì a Denver insieme a Gallinari nella trade di Melo ai Knicks, poi, per sopperire al lungo infortunio di Varejao, fu ingaggiato da Cleveland dove regna(va) il suo mentore David Blatt (ex coach della nazionale russa). Il 2.15 capita in una fase della NBA in cui gli omoni hanno vita difficile e minuti di gioco non sempre elevati a disposizione. In questa stagione ha mezzo punto, un rimbalzo, un minuto in meno rispetto alle sue medie in carriera; sono però 8 minuti, 4 punti e 3 rimbalzi in meno delle medie che aveva nella scorsa stagione in Ohio. La sua auge appare già tramontare, per di più con coach Lue è stato privato del quintetto. Nella NBA sono in due a chiamarsi Timoteo, e non ci sono dubbi che lui sarà sempre il Timoteo Sbagliato.

SASHA KAUN. Altro Russo, altro centro (2.10), sempre Cavs. Lui ha assaggiato gli USA da collegiale a Kansas U. dove è stato Campione NCAA nel 2008. Scelto dagli ancora esistenti Seattle Sonics, non ha mai giocato nella NBA fino a quest’anno, quando è stato ingaggiato dai Cavs, sempre per evidente influsso di coach Blatt. Utilissimo, credo e spero, nello scaricare i bagagli e nel raccontare storielle, ha giocato 55 minuti in tutto dall’inizio della stagione. Meglio torni a vincere Titoli Nazionali e perdere Final4 di Eurolega con il CSKA.

JONAS JEREBKO. Nella NBA dal 2009, questo Svedese ha avuto almeno 3 carriere finora. Primo anno molto buono, pur nei disastrati Pistons: 28 minuti, 73 partenze in quintetto, 48% totale al tiro, 10+6. Da lì in poi: crollo. Il tiro si perde un po’ per strada, ci si mette anche qualche infortunio: nel secondo anno manca 20 gare e parte nei primi 5 solo 13 volte, 46% e 8+6. L’anno scorso, impattando male la gestione di Stan VanGundy, tocca il fondo della sua esperienza nella NBA, 6 punti, 3 rimbalzi, meno di 15 minuti. Finisce ai Boston Celtics (insieme ad un altro mai considerato dai Pistons, Gigi Nostro Datome), e potete dimenticare da questo momento le stats. Segna e tira meno che mai, ma lui E’ parte dei Boston Celtics, inserito nel meccanismo di squadra come forse gli era capitato solo nel rookie-year. Gioca tutti i ruoli del front-court, e i tifosi lo amano. Forse pronto per il ritorno in Europa, tecnicamente parlando: in una squadra “dura” come quella del Pireo farebbe scintille.

GORAN DRAGIC. Il fratello bravo di Zoran ha passato al caldo tutta la sua esperienza NBA. Scelto da San Antonio, girato ai Suns, una parentesi a Houston, poi di nuovo Arizona e infine Florida. Le stagioni davvero eccezionali son state le ultime due a Phoenix, tanto da meritare la chiamata della Miami post-LBJ, per dare regia e sollievo a Wade. Quest’anno sta vivendo un momento difficile, è tornato ad avere stats pari ai suoi primi anni nella Associazione, e non sono pochi i rumors che lo vogliono coinvolto in qualche trade. Il peggior difetto di Dragic è che nella NBA nessuno (lo ha fatto solo Jeff Hornacek nei citati anni ai Suns) gli darebbe tutte le chiavi in mano, e lui non riesce ad esprimere il meglio del proprio gioco, che, essenzialmente, è: “dammi quella palla, prima o poi, se ne ho voglia, se i miei chakra son ben allineati, se non ho lasciato il gas acceso, te la ripasso”. In queste condizioni, cfr. Nazionale Slovena, lui non è battibile. Per come deve giocare nella NBA, è “solo” un gran bel giocatore, uno che 18 con 7 assists a gara li può fare in ogni momento. Non più tanto giovane, sta per raggiungere i 30.

MARCIN GORTAT. Apparentemente uno degli Europeans che ce l’hanno fatta con più brillantezza. La domanda che rivolgo è: che prezzo pagano i Wizards? Uno dei suoi soprannomi, è vero, è The Machine, ed è meritato, dal momento che in carriera tira col 55%. Tira da fuori, anche, ma solo da 2, è un cultore del piazzato dai 4 metri, e da lì non scappa mai: è ormai al suo nono anno e ha tirato 18 volte da 3, con 3 centri. Purtroppo è uno dei difensori più ignobili di sempre, in particolare è un vero obbrobrio nella difesa sul pick and roll, il che, in un’epoca in cui di post basso se ne vede pochissimo, è un difetto macroscopico. Quindi, sì, ha 14+10 in questa stagione, negli anni di Phoenix è stato capace di medie anche leggermente superiori, ma il costo di tali cifre è davvero altissimo. Non è in trade solo perché è di recente ri-firma di contratto, e nemmeno prende poco dai Wizards: circa 12,5 milioni annui fino al 2019, un classico 50×4 che comincerà ad essere appetibile per altre squadre solo dalla fine del prossimo anno, con l’arrivo a regime dell’aumento del salary cap per le franchigie.